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Mahsa, il tuo nome sarà un simbolo

Dopo la morte di Mahsa tantissimi giovani iraniani sono scesi in piazza per protestare ma le autorità soffocano la libertà bloccando gli accessi a Internet.
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Mahsa, il tuo nome sarà un simbolo

Dopo la morte di Mahsa tantissimi giovani iraniani sono scesi in piazza per protestare ma le autorità soffocano la libertà bloccando gli accessi a Internet.
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Mahsa, il tuo nome sarà un simbolo

Dopo la morte di Mahsa tantissimi giovani iraniani sono scesi in piazza per protestare ma le autorità soffocano la libertà bloccando gli accessi a Internet.
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Dopo la morte di Mahsa tantissimi giovani iraniani sono scesi in piazza per protestare ma le autorità soffocano la libertà bloccando gli accessi a Internet.
Una ciocca di capelli sfuggita dal velo: tanto è bastato a porre fine alla vita di Mahsa Amini. La tragedia si è consumata lo scorso venerdì a Teheran, in Iran, dove la libertà delle donne è sempre più in pericolo e l’utilizzo della violenza è diventato sempre più sistematico. Torture e percosse, calci e pugni: così è stata uccisa la ventiduenne originaria del Kurdistan, morta dopo tre giorni in stato di coma. Un affronto spaventoso ai diritti umani, l’ultimo di una lunga serie. La rivoluzione khomeinista del 1979 ha avuto riflessi consistenti sulla vita delle donne ma l’imposizione più resistente e difficile da eclissare resta l’obbligo di indossare il velo. Nel corso delle ultime settimane, la situazione è peggiorata in maniera esponenziale: per la precisione, da quando il presidente Ebraihim Raisi ha ordinato una stretta nell’applicazione più rigida delle leggi islamiche. Le violenze sono all’ordine del giorno, con le donne in costante difficoltà nell’esercitare le libertà fondamentali. Ma la morte di Mahsa Amini non può e non deve essere dimenticata. I primi risultati sono sotto gli occhi di tutti. Nonostante le patetiche scuse delle autorità – «È stato uno sfortunato incidente e speriamo non si ripeta», «Nessuna violenza, ha avuto un infarto» e molte altre fandonie – centinaia di iraniani sono scesi in piazza per protestare e sfidare il potere. Coraggiose e pronte a tutto per rivendicare la libertà, decine di donne hanno deciso di bruciare il velo islamico e di tagliarsi i capelli davanti a tutti. In prima linea anche l’attrice Anahita Hemmati e l’attivista Masih Alinejad. «Dall’età di 7 anni se non ci copriamo il capo non possiamo andare a scuola o avere un lavoro. Siamo stufe di questo regime di apartheid di genere» ha ricordato quest’ultima, in esilio negli States per le sue battaglie contro il regime. Lo slogan scelto è «Il tuo nome sarà un simbolo». Per un futuro di diritti e libertà. Le prime manifestazioni sono iniziate già venerdì sera, con tantissime persone fuori dall’ospedale di Kasra, dove si è spenta Mahsa. Giovani in prima linea: ragazze e ragazzi delle più importanti università di Teheran (Amir Kabir University, Shahid Beheshti University e Teheran University) si sono radunati per le strade della capitale per condannare l’ennesimo sopruso delle forze dell’ordine. E ancora, proteste focose sono state registrate da Rasht a Mashhad, da Buqan a Saqez fino a Sanandaj, Karaj e Isfahan. A Divandareh, regione curda, le manifestazioni sono state molto intense e la repressione della polizia è stata durissima. Secondo Hengaw, organizzazione che monitora la situazione dei diritti umani in Iran, ci sarebbero state due vittime. Per soffocare le dimostrazioni di dissenso la polizia non ha lesinato azioni violente con tanto di manganelli, lacrimogeni e getti d’acqua. Le autorità, inoltre, stanno ostacolando l’accesso a Internet nella città di Sanandaj, epicentro delle manifestazioni. Molti iraniani hanno confermato di non poter caricare foto e video su Instagram o inviare contenuti su WhatsApp. Il motivo? Semplice, arginare le proteste e impedire la diffusione di notizie scomode sul web, alla portata di tutti. Ma questa volta, forse, non basterà. Di Massimo Balsamo

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