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Meloni, l’Occidente e i nuovi equilibri da ricostruire

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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando delle relazioni internazionali globali, ha sottolineato che oggi «i blocchi omogenei del passato non esistono più». Come ricostruire nuovi equilibri?

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Meloni, l’Occidente e i nuovi equilibri da ricostruire

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando delle relazioni internazionali globali, ha sottolineato che oggi «i blocchi omogenei del passato non esistono più». Come ricostruire nuovi equilibri?

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Meloni, l’Occidente e i nuovi equilibri da ricostruire

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando delle relazioni internazionali globali, ha sottolineato che oggi «i blocchi omogenei del passato non esistono più». Come ricostruire nuovi equilibri?

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Dal Kazakistan, durante il suo viaggio nell’Asia centrale, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando delle relazioni internazionali globali, ha sottolineato che oggi «i blocchi omogenei del passato non esistono più». Aggiungendo che adesso i rapporti «tra le nazioni si basano su schemi nuovi e spesso inediti». Una fotografia geopolitica del presente in continuo mutamento. Un tempo in cui le democrazie occidentali stanno facendo i conti con l’invasione russa dell’Ucraina, la crisi perdurante e tragica in Medio Oriente e una serie di cambiamenti degli equilibri. Dal Mediterraneo al Centro America, dal Pacifico alle rotte artiche. La domanda seguente a questa presa d’atto, su cui le élite politiche occidentali devono confrontarsi, è complessa ma non più rinviabile: come ricostruire nuovi equilibri? La risposta non può che partire da alcuni punti fermi e irrinunciabili.

Primo: l’Alleanza Atlantica è intoccabile, al di là delle percentuali di contribuzione rispetto al Pil dei Paesi membri della Nato. Anche se la pax americana scricchiola ormai da tempo, ogni nuovo equilibrio deve necessariamente partire dal rapporto fra gli Stati Uniti, l’Europa (intesa come somma dei Paesi Ue più la Gran Bretagna), l’Australia e il Giappone.

Secondo punto, e qui veniamo più specificatamente al Vecchio Continente. Nella prospettiva di un riarmo europeo e della costruzione di una difesa comune, resta una certezza che le due potenze nucleari in Europa sono la Francia e la Gran Bretagna. E quelle resteranno. Si tratta semmai di capire, in alleanza e in sinergia con la Nato, come la deterrenza dell’arma atomica di questi due Paesi possa estendersi a copertura di tutto il Vecchio Continente. Su questo il presidente francese Emmanuel Macron ha già fatto, giorni fa, una proposta. Può piacere oppure no, se ne discuta mentre se ne attendono altre.

Parlando di Francia, veniamo a un terzo punto cui Giorgia Meloni deve guardare (così come peraltro lo stesso presidente francese) con la razionalità della politica. Al di là di antipatie personali e di sane competizioni fra Roma e Parigi. Gli interessi comuni fra Italia e Francia, sia economici sia geopolitici, sono infinitamente maggiori delle divisioni o delle reciproche incomprensioni. A questo proposito cade a fagiolo l’incontro che si terrà martedì 3 giugno, a Roma, fra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron.

Tanto per cominciare, che questo vertice ci sia è già una buona notizia. Serve adesso dare un reset ai bisticci del passato. Al fine di dare risposte concrete su come ricostruire un’architettura geopolitica occidentale che tenga assieme Europa e Usa. E sappia reagire in maniera ancora più efficace all’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, agli equilibri sempre più a rischio nel Mediterraneo e in Africa. E, perché no, alla crisi in Medio Oriente.

In questa prospettiva la cosa certa è che, in tutto ciò, non può venire meno il ruolo degli Stati Uniti guidati oggi dal presidente Donald Trump. Al di là dello stile di comunicazione, questo lo sanno bene del resto anche a Washington. Quanto ai catastrofisti, ovvero a tutti coloro che vedono nel trumpismo la fine dell’Occidente per come lo abbiamo conosciuto, ecco una annotazione storica e un invito a finirla con gli eccessi di pessimismo. Che non sono una categoria politica ma semmai uno stato d’animo. Già in passato, nel 1971, dagli Usa (all’epoca guidati da Richard Nixon) arrivò una decisione che parve tragica. E che poi la realtà dei rapporti e degli interessi occidentali è riuscita comunque a superare.

A Ferragosto di quell’anno Nixon annunciò infatti l’uscita degli Usa dal sistema di Bretton Woods. Sancendo la fine della convertibilità del dollaro statunitense in oro. Quella scelta, passata alla storia come il Nixon Shock, nell’immediato creò panico e timori diffusi. Ma alla fine si superò. Parlare oggi di ricostruzione vuol dire anche far tesoro di quell’esperienza passata. Perché il mondo libero non può rinunciare (oggi men che mai) all’alleanza fra Usa ed Europa. Sarebbe un suicidio e neppure assistito.

Di Massimiliano Lenzi

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