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Meloni oltremare

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Da Trump a Putin, la sindrome dell’isolamento è il demone che sembra essersi impossessato dei nuovi imperi e di ciò che resta fuori di essi

Meloni oltremare

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Da Trump a Putin, la sindrome dell’isolamento è il demone che sembra essersi impossessato dei nuovi imperi e di ciò che resta fuori di essi

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Meloni oltremare

Da Trump a Putin, la sindrome dell’isolamento è il demone che sembra essersi impossessato dei nuovi imperi e di ciò che resta fuori di essi

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Scritto da Massimo Onofri, docente di Letteratura contemporanea all’Università di Sassari, “Isolitudini” è un libro del 2019. Un atlante un po’ reale e un po’ immaginario di quei lembi di terra che non sono attaccati a niente e splendidamente isolati, come amava definirsi la Gran Bretagna del XIX secolo.

Un sussulto che potrebbe diventare il codice del terzo millennio. Già, perché la sindrome dell’isolamento è il demone che sembra essersi impossessato dei nuovi imperi e di ciò che resta fuori di essi. Si isola Donald Trump, che si ritira dall’Oms e dagli accordi di Parigi sul clima e con la giostra dei dazi sembra voler imitare la Londra dell’Ottocento. Si isola Putin nel modo più canagliesco che c’è: aggredendo i Paesi limitrofi, mettendo il diritto della forza al posto della forza del diritto. Dalla Ue si isolano Ungheria e Slovacchia, in ossequio ai nuovi padroni a Est. In Italia si isolano dai rispettivi schieramenti Salvini e Conte, riandando al gialloverde che fu e che, loro malgrado, mai ritornerà. Mentre la Schlein si isola dal Pse.

Ci si isola pensando che in tal modo si possano condizionare gli equilibri geopolitici, compresi quelli del cortile di casa nostra. È come se il multilateralismo fosse portatore sano del virus dell’isolamento, capace di infettare tutto e tutti e ritenuto l’arma migliore per far valere i propri interessi. È davvero così? La risposta – sommessamente e pacatamente – è un bel no. Di fronte all’entropia che destruttura il mondo per come lo abbiamo conosciuto dal Dopoguerra a oggi, la scelta giusta è rinforzare i vincoli cooperativi che contraddistinguono l’Occidente: fuori di essi c’è l’anarchia. Se nessun uomo è un’isola (rieccoci!), come poetava John Donne nel Seicento, figuriamoci se possono esserlo Stati o Continenti centinaia di anni dopo.

E qui arriviamo alla visita di oggi alla Casa Bianca di Giorgia Meloni. Cosa potrà mai dire la presidente del Consiglio a The Donald? Se pensa di trattare qualsiasi dossier a nome del suo Paese finisce fuori strada in un attimo. A parte qualche sorriso di circostanza, Trump l’isolato non concederà nulla: non vuole e non può. Viaggio inutile, perciò? Non è detto. A patto che Giorgia – se davvero vuole essere un ponte con gli Usa, ponte che idealmente e concretamente cozza con ogni velleità isolazionista – si ammanti dell’usbergo del paradosso.

Se cioè, invece che giocare per sé (scelta comunque perdente), sceglie di giocare per l’Unione Europea, quella che tante volte ha deplorato. Non intervenendo sulle singole materie, cosa che gli è preclusa dai vincoli Ue, quanto sulla necessità di riavvicinare le due sponde dell’Atlantico. Che scelte dissennate del commander in chief hanno allontanato. Compito e viaggio tutt’altro che facili e anzi «ricchi di insidie», come avverte il fedelissimo Fazzolari. «So cosa difendo» assicura Meloni. Obbligatorio fidarsi. Magari incrociando le dita.

Di Carlo Fusi

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