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Merz che vuol rifondare la Cdu

Friedrich Merz, al terzo tentativo di conquistare la guida della Cdu, non dovrebbe fallire. Merz però è quanto di più lontano possa esserci dall’idea di Cdu perseguita da Angela Merkel.
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Merz che vuol rifondare la Cdu

Friedrich Merz, al terzo tentativo di conquistare la guida della Cdu, non dovrebbe fallire. Merz però è quanto di più lontano possa esserci dall’idea di Cdu perseguita da Angela Merkel.
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Friedrich Merz, al terzo tentativo di conquistare la guida della Cdu, non dovrebbe fallire. Merz però è quanto di più lontano possa esserci dall’idea di Cdu perseguita da Angela Merkel.
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Friedrich Merz, al terzo tentativo di conquistare la guida della Cdu, non dovrebbe fallire. Merz però è quanto di più lontano possa esserci dall’idea di Cdu perseguita da Angela Merkel.
Berlino – «Non c’è due senza Merz» è una delle battute più ricorrenti in queste settimane nel quartiere politico di Berlino. Al terzo tentativo (in quattro anni) di conquistare la guida della Cdu, Friedrich Merz dovrebbe non fallire. Il condizionale è d’obbligo, come in ogni elezione. Ma dopo aver provato tutte le alternative più simili ad Angela Merkel, il grande corpaccione del partito cristiano tedesco, orfano del governo, dovrebbe affidarsi proprio a lui. Politico, avvocato d’affari, liberista e conservatore, Merz è quanto di più lontano possa esserci dall’idea di Cdu perseguita da Angela Merkel. Il suo è più un ritorno al partito di Kohl, al netto del tempo trascorso. Eppure, proprio l’idea di un ritorno al futuro potrebbe a gennaio restituirgli quella leadership cui sembrava destinato alla fine degli anni Novanta, che gli fu scippata da Merkel e che invano aveva provato a riprendersi nei due congressi del 2018 e 2021 che incoronarono prima Kramp-Karrenbauer e poi Laschet. Oggi un partito in disarmo, demoralizzato da una bruciante sconfitta elettorale, sembra disposto ad affidarsi a chi aveva rifiutato per ben due volte. Conteranno anche i 400mila iscritti, alle prese in questi giorni con un complesso pre-voto informale che contempla anche un eventuale ballottaggio: ai delegati del congresso del 21 gennaio affideranno un risultato difficilmente ribaltabile. Dunque Merz è il favorito. Di fronte a lui, l’esperto di politica estera Norbert Röttgen, che nel 2021 era arrivato terzo, e l’ex braccio destro di Merkel alla cancelleria, Helge Braun. Due pesi leggeri. Questa volta il politico-avvocato d’affari, ex delfino di Kohl ed ex dirigente della succursale tedesca del fondo d’investimenti Usa BlackRock, si è preparato meglio alla competizione. Ha dismesso i panni dell’outsider indossando quelli del favorito, si è coperto le spalle con il sostegno di buona parte delle federazioni regionali (soprattutto quelle orientali) e si presenta al voto alla testa di una squadra, un ‘team’, per allontanare l’immagine vanitosa di uomo solo al comando. Venti anni di merkelismo non sono trascorsi invano. Per il resto, Merz è convinto che al partito serva un profilo chiaro e forte, di nuovo riconoscibile per quello che è e per quello che vuole, con un personale rinnovato che elabori un’idea ben definita del ruolo della Germania nei prossimi anni. Un partito naturalmente pronto ai compromessi ma anche ai conflitti, alle discussioni, al confronto delle idee con alleati e avversari politici. È uno dei tanti punti di rottura con il ventennio di Merkel, forse il più importante: un partito di principi, valori e posizioni riconosciute che siano la bussola delle future politiche e alleanze, non un grande contenitore dai contenuti indefiniti, modellato a seconda delle opportunità contingenti. È questo il nocciolo del conservatorismo di Merz: il ritorno alla politica come riferimento fermo di valori e principi dai quali far scaturire l’azione del partito, non come gestione quotidiana e flessibile dei problemi così come si presentano. Ma che questo modello sia il più adatto ad affrontare le sfide di questi tempi è tutto da dimostrare.   di Pierluigi Mennitti

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