Nancy Pelosi a Taiwan in un’atmosfera (già) altamente infiammabile
La visita di Nancy Pelosi a Taiwan, ancora non certa, scalda un panorama geopolitico già altamente infiammabile dopo la guerra di Putin contro l’Ucraina. Nel frattempo anche a due passi dall’Italia, in Kosovo, la corda è al massimo della sua tensione. Occorre evitare che si spezzi.
| Esteri
Nancy Pelosi a Taiwan in un’atmosfera (già) altamente infiammabile
La visita di Nancy Pelosi a Taiwan, ancora non certa, scalda un panorama geopolitico già altamente infiammabile dopo la guerra di Putin contro l’Ucraina. Nel frattempo anche a due passi dall’Italia, in Kosovo, la corda è al massimo della sua tensione. Occorre evitare che si spezzi.
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Nancy Pelosi a Taiwan in un’atmosfera (già) altamente infiammabile
La visita di Nancy Pelosi a Taiwan, ancora non certa, scalda un panorama geopolitico già altamente infiammabile dopo la guerra di Putin contro l’Ucraina. Nel frattempo anche a due passi dall’Italia, in Kosovo, la corda è al massimo della sua tensione. Occorre evitare che si spezzi.
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La visita di Nancy Pelosi a Taiwan, ancora non certa, scalda un panorama geopolitico già altamente infiammabile dopo la guerra di Putin contro l’Ucraina. Nel frattempo anche a due passi dall’Italia, in Kosovo, la corda è al massimo della sua tensione. Occorre evitare che si spezzi.
Il mondo è diventato un posto maledettamente caldo e può prender fuoco in ogni momento perché gli amanti dei falò non mancano. Non stiamo parlando del clima e degli incendi nei boschi ma della geopolitica e dei rapporti fra gli Stati, radicalmente cambiati dopo l’invasione russa dell’Ucraina e con una guerra tornata nel cuore dell’Europa. E non finisce qui, perché l’alta infiammabilità del pianeta si ripropone in diverse aree geografiche: una a pochi passi dall’Italia, in Kosovo (dove sono presenti i nostri carabinieri come forza di stabilizzazione e di pace) e l’altra a Taiwan, nell’Indo-Pacifico.
Cominciamo dal Kosovo, dove le tensioni tra il Paese e la Serbia sono salite alle stelle dopo che il governo locale ha approvato un provvedimento su documenti d’identità e targhe automobilistiche (che, solitari, anticipammo con un articolo di Franco Vergnano su “La Ragione” del 15 luglio). Questo prevede il divieto dell’uso di documenti e targhe serbe nelle regioni del Nord Kosovo (a maggioranza serba) ma le tensioni hanno fatto rinviare di un mese la sua entrata in vigore. Prender tempo dovrebbe servire alle diplomazie per cercare di raffreddare gli animi che la Russia ha subito provato a scaldare, sottolineando che le provocazioni contro Belgrado devono finire. Considerando che la Serbia ha richiesto da anni l’adesione all’Unione europea, gli elementi negoziali sul tavolo non mancano, a patto di non commettere errori (versante kosovaro compreso).
Se dai Balcani ci spostiamo in Oriente, nell’Indo-Pacifico, ecco che le tensioni stavolta riguardano Taiwan e i rapporti tra Usa e Cina. In questi giorni, dopo che giovedì scorso il presidente americano Joe Biden e il cinese Xi Jinping si sono parlati per due ore, la speaker democratica della Camera americana, Nancy Pelosi, è nel continente asiatico per un viaggio che toccherà Singapore, Giappone, Corea del Sud e Malesia. La sua annunciata visita a Taiwan – di cui resta una declinazione al condizionale – è in queste ore oggetto di tenzone, considerando che fonti cinesi sostengono che la Pelosi andrà oggi a Taipei e che pure la “Cnn” (citando fonti Usa e taiwanesi) ieri parlava addirittura del pernottamento di un giorno della democratica americana nella capitale dell’isola. Nell’attesa di vedere cosa farà Nancy, è bastato l’annuncio della sua visita a scaldare i fuochi cinesi.
Pechino ha parlato di suoi caccia verso l’isola, di esercitazioni con proiettili veri e pure di voler intercettare l’aereo su cui viaggerà la delegazione Usa. Diciamolo chiaro: la visita di Nancy Pelosi a Taiwan sarebbe un errore diplomatico e politico perché in questo particolare momento rompere lo status quo – al di là del wrestling di circostanza fra Usa e Cina – aprirebbe un fronte potenzialmente persino più insidioso della guerra in Ucraina e indebolirebbe ulteriormente Xi Jinping, già in difficoltà, senza garanzie per l’Occidente su un suo eventuale successore e sul futuro degli equilibri mondiali.
Un risiko, quello dei rapporti di forza tra gli Stati, che gli Usa paiono aver ben compreso passare pure dall’Africa. Dal 7 all’11 agosto prossimi il segretario di Stato Usa Antony Blinken si recherà infatti in visita in Sudafrica, Repubblica Democratica del Congo e Ruanda mentre l’ambasciatrice americana all’Onu Linda Thomas-Greenfield (nominata dal presidente Joe Biden) dovrebbe recarsi in Ghana e Uganda. Il tour africano di Blinken è interessante per due ragioni. La prima riguarda la visita in Sudafrica (Paese che fa parte dei Brics assieme a Cina, Russia, India e Brasile), la seconda è il marcare stretto la Russia e la Cina nel loro lavorio di influenza e penetrazione nel Continente Nero che va avanti da tempo. Perché nel 2022 i focolai di crisi possono accendersi in ogni momento e in ogni parte della Terra. È questa la lezione del presente. Alla diplomazia e alla politica occidentali non resta che farne tesoro per evitare che i piromani gongolino.
Di Massimiliano Lenzi
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