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Nel Texas “giustiziere” le proteste salvano dalla pena di morte Melissa Lucio

La Corte d’Appello in Texas ha deciso di rinviare la condanna a morte di Melissa Lucio dopo che 300mila persone hanno firmato per chiederne la sospensione. Negli ultimi 45 anni, su 1544 detenuti giustiziati negli USA ben 574 si trovavano in Texas.
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Nel Texas “giustiziere” le proteste salvano dalla pena di morte Melissa Lucio

La Corte d’Appello in Texas ha deciso di rinviare la condanna a morte di Melissa Lucio dopo che 300mila persone hanno firmato per chiederne la sospensione. Negli ultimi 45 anni, su 1544 detenuti giustiziati negli USA ben 574 si trovavano in Texas.
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Nel Texas “giustiziere” le proteste salvano dalla pena di morte Melissa Lucio

La Corte d’Appello in Texas ha deciso di rinviare la condanna a morte di Melissa Lucio dopo che 300mila persone hanno firmato per chiederne la sospensione. Negli ultimi 45 anni, su 1544 detenuti giustiziati negli USA ben 574 si trovavano in Texas.
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La Corte d’Appello in Texas ha deciso di rinviare la condanna a morte di Melissa Lucio dopo che 300mila persone hanno firmato per chiederne la sospensione. Negli ultimi 45 anni, su 1544 detenuti giustiziati negli USA ben 574 si trovavano in Texas.
Non sarà uccisa oggi Melissa Lucio, madre di 14 figli condannata a morte in Texas. Una Corte di Appello ha infine deciso un rinvio, anche in seguito a una valanga di proteste. 300mila persone avevano infatti firmato per chiedere la sospensione dell’esecuzione. Un senatore dello Stato e vari legislatori sia democratici che repubblicani avevano chiesto la grazia. Kim Kardashian aveva condiviso su Twitter una lettera firmata dai figli per chiedere che la madre potesse vivere. I legali e Amnesty International avevano proposto di rinviare l’esecuzione di 120 giorni per rivedere le prove a suo carico. Cinque membri della giuria, decisivi ai tempi della sentenza, avevano ammesso di essersi sbagliati e di avere cambiato idea. Il Papa aveva ricevuto una lettera della condannata e nel 2020 sulla sua storia era stato realizzato il documentario “The State of Texas vs. Melissa”. Più di recente se ne era occupato il popolare talk show “Last Week Tonight With John Oliver”, con nuove prove e nuovi testimoni. Eppure per il governatore del Texas Greg Abbott questa 51enne di origine messicana avrebbe dovuto morire oggi, a seguito di una iniezione letale, nel carcere di Gatesville. Il motivo? Avrebbe ucciso una figlia di due anni. Mariah, questo il suo nome, morì il 14 febbraio 2007. Secondo la difesa, per le complicazioni di una caduta accidentale dalle scale. Secondo l’accusa, per essere stata selvaggiamente picchiata. «È probabile che io sia responsabile» è la confessione che ha portato la madre alla condanna. Ma il punto è che, incinta di due gemelli ed evidentemente sotto grave stress per la tragedia, rese quelle dichiarazioni dopo aver professato la sua innocenza un centinaio di volte e nel corso di un interrogatorio notturno durato sette ore in cui non le avevano dato né acqua né cibo e neanche un avvocato. Nel frattempo Armando Villalobos, il pm che ottenne la sua condanna, sta scontando 13 anni di carcere per corruzione ed estorsione. «La mia morte non riporterà indietro la mia Mariah. Darei la mia vita per riabbracciarla un solo istante. Ma non è possibile» ha scritto Melissa nella sua lettera al Papa. Negli ultimi 45 anni, su 1.544 detenuti giustiziati negli Stati Uniti ben 574 lo sono stati nei penitenziari del Texas. Avvocatessa della donna e direttrice del Cornell Center on the Death Penalty Worldwide, Sandra Babcock ha spiegato come la condanna di Lucio sia una specie di summa di tutto ciò che non funziona nel sistema penale degli Stati Uniti e che «la polizia si è concentrata su Melissa perché non corrispondeva alla sua idea di come dovrebbe comportarsi una madre afflitta per la morte di una figlia». Poiché in Texas, per ottenere una condanna a morte, i pm devono provare la «futura pericolosità» di una persona e Melissa Lucio non aveva precedenti di comportamenti violenti prima della morte di Mariah, la sentenza avrebbe manipolato i documenti disciplinari dopo il suo arresto. di Maurizio Stefanini

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