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Difficoltà in Usa e riflessioni sulla rappresentanza parlamentare

I repubblicani non sono riusciti ad eleggere al primo tentativo il presidente della Camera bassa americana, nonostante la maggioranza riconquistata. È la prima volta in un secolo che accade una cosa del genere
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Difficoltà in Usa e riflessioni sulla rappresentanza parlamentare

I repubblicani non sono riusciti ad eleggere al primo tentativo il presidente della Camera bassa americana, nonostante la maggioranza riconquistata. È la prima volta in un secolo che accade una cosa del genere
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Difficoltà in Usa e riflessioni sulla rappresentanza parlamentare

I repubblicani non sono riusciti ad eleggere al primo tentativo il presidente della Camera bassa americana, nonostante la maggioranza riconquistata. È la prima volta in un secolo che accade una cosa del genere
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I repubblicani non sono riusciti ad eleggere al primo tentativo il presidente della Camera bassa americana, nonostante la maggioranza riconquistata. È la prima volta in un secolo che accade una cosa del genere
I Repubblicani, a novembre, hanno riconquistato la maggioranza dei seggi nella Camera bassa americana ma non sono riusciti al primo tentativo ad eleggerne lo speaker (cioè il presidente): hanno una maggioranza di 9 seggi, ma nelle prime tre votazioni ci sono stati ben 19 dissidenti “trumpisti” che hanno votato per un candidato diverso dal “leader” Mc Carthy, privandolo della maggioranza necessaria. È la prima volta in un secolo che accade una cosa del genere a Washington e nel momento in cui scrivo non si sa bene come andrà a finire questa vicenda. Ma la riflessione che questa circostanza stimola è un’altra: basterebbe oggi togliere dal gioco o far cambiare casacca a cinque-dieci deputati per rovesciare la maggioranza parlamentare della maggiore potenza globale. Politicamente, il problema attuale dei Repubblicani americani non è ora il rischio di vedere cinque moderati votare con i Democratici ma in che modo riportare sulla via maestra gli estremisti trumpisti. Il punto che occorre sottolineare è che a volte bastano pochi voti in Parlamento per modificare gli equilibri politici di un Paese. L’istituto dell’immunità parlamentare trova non a caso le sue giustificazioni nell’esigenza di evitare che il potere giudiziario (quando autonomo) o quello esecutivo (quando controlla il potere giudiziario) possano stravolgere le maggioranze politiche abusando del diritto di arrestare chi è accusato di delinquere. In Unione europea le cose funzionano diversamente e non basterebbe arrestare un pugno di deputati per determinare un cambiamento radicale nell’indirizzo del Parlamento europeo. Lo scandalo del Qatargate induce comunque una seria riflessione. La corruzione di parlamentari in carica da parte di Paesi terzi è ovviamente cosa inaccettabile e non è ragionevole che le inchieste su episodi di corruzione sistematica vengano bloccate in nome dell’immunità parlamentare europea. Ma la detenzione prolungata di eurodeputati da parte di autorità nazionali apre la porta a rischi sistemici considerevoli. Alla luce dei fatti sinora noti, la signora Kaili deve fare i conti con una situazione oggettiva insostenibile: a casa sua c’era una valigia piena di banconote, quasi certamente di origine illecita, che a suo dire appartenevano al consorte e che erano state consegnate a suo padre per nasconderle altrove. In una situazione del genere, la reazione più “onorevole” consiste nelle dimissioni. La flagranza di reato in una circostanza del genere è dubbia ma, comunque, che senso ha mantenere in detenzione cautelare (nazionale) un parlamentare in carica in circostanze simili? C’è forse il rischio che Kaili scappi in Qatar? Che torni ad accettare denaro in cambio di voti? Che inquini le prove? Che succede se ora la Procura belga chiede l’arresto di decine di deputati europei e questo determina una modifica degli equilibri politici del Parlamento? E se poi nel processo che deve seguire gli accusati vengono assolti? Chi mai potrebbe risanare le distorsioni provocate da un evento del genere? Insomma, gli inquirenti che hanno scoperto la rete di corruzione meritano sostegno e le loro inchieste non devono fermarsi alle porte del Parlamento. L’uso dell’arresto di parlamentari in carica deve però limitarsi a circostanze di effettiva immediata pericolosità e non può essere usato come arma per indurre alla collaborazione. Nel Parlamento europeo c’è bisogno di trasparenza, di vigilanza, di riforme. Non c’è bisogno di pogrom. Di Ottavio Lavaggi

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