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Nuova Delhi, una sorpresa che ha preso corpo al G20

Il G20 riunitosi a Roma ha registrato una vera e propria sorpresa: l’impegno dell’India – il Paese che emette il 7% delle emissioni annue di Co2 – per la neutralità climatica.
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Nuova Delhi, una sorpresa che ha preso corpo al G20

Il G20 riunitosi a Roma ha registrato una vera e propria sorpresa: l’impegno dell’India – il Paese che emette il 7% delle emissioni annue di Co2 – per la neutralità climatica.
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Nuova Delhi, una sorpresa che ha preso corpo al G20

Il G20 riunitosi a Roma ha registrato una vera e propria sorpresa: l’impegno dell’India – il Paese che emette il 7% delle emissioni annue di Co2 – per la neutralità climatica.
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Il G20 riunitosi a Roma ha registrato una vera e propria sorpresa: l’impegno dell’India – il Paese che emette il 7% delle emissioni annue di Co2 – per la neutralità climatica.
Mentre la Cina aumenta la produzione giornaliera di carbone di oltre un milione di tonnellate, il Gruppo dei 20 riunitosi a Roma – disertato proprio da Xi Jinpingha registrato una vera e propria sorpresa: l’impegno dell’India per la neutralità climatica. Qualcuno ha ironizzato e minimizzato, in base al fatto che il primo ministro indiano Narendra Modi ha affermato che l’obiettivo per il suo Paese è ‘sostenibile’ solo a scadenza 2070. Al di là del fatto che anche Cina e Russia non sono allineate agli obiettivi e alla deadline del 2050 (lo sono per il 2060), la volontà dell’India è invece una cosa importante: nel 2050, secondo le proiezioni attuali, sarà infatti il Paese più popoloso al mondo.

Se poi andiamo a vedere come stanno le cose oggi, ci accorgiamo di quanto sia importante l’intento di Modi.

L’India emette il 7% circa delle emissioni annue globali di Co2 che, se considerate in modo pro capite, pesano meno di un terzo di un europeo o di un cinese e meno di un ottavo di un americano. Tuttavia, secondo i dati che appaiono nel “Rapporto sulla qualità dell’aria mondiale” del 2019 redatto da IQAir (società svizzera leader in soluzioni tecnologiche per la protezione da inquinanti presenti nell’aria), in India si trovano ventuno delle trenta aree urbane più inquinate al mondo. Inoltre, secondo uno studio coordinato da Joshua Maurer (Columbia University di New York) – basato su quarant’anni di osservazioni satellitari e pubblicato a giugno 2019 sulla rivista “Science advanced” – dal 2000 a oggi è raddoppiato lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya. Il fenomeno fa perdere ai ghiacciai circa otto miliardi di tonnellate di acqua all’anno. Analizzando il loro spessore è stato scoperto che dal 1975 al 2000, a causa di inquinamento e riscaldamento, questi hanno perso una media di circa 25 centimetri all’anno. Ma dal 2000 a oggi questa perdita annua di spessore ha accelerato fino a circa mezzo metro.

Con il lockdown 2020 dovuto all’emergenza Coronavirus, le vette dell’Himalaya sono tornate visibili dalla regione del Punjab per la drastica riduzione dell’inquinamento atmosferico determinata dal fermo forzato di industrie, automobili e aerei.

Le autorità centrali hanno verificato che, soltanto nel primo giorno di blocco, Nuova Delhi ha registrato un calo del 44% dei livelli di inquinamento. Sono numeri pesanti che rivelano quanto sia decisivo includere i Paesi emergenti nella lotta al climate change, soprattutto quando così popolosi come la Repubblica dell’India. Non vi è altra via che la cooperazione multilaterale. È vero, la carbon neutrality per l’India arriverà più tardi, ma intanto iniziamo a vedere se Unione europea e Usa saranno così bravi da centrare gli obiettivi intermedi del 2030 e quelli del 2050: vivremmo già in un mondo diverso, in più di un senso. Di Giuseppe Sabella

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