Operazione “Martello di Mezzanotte”, il piano di Trump per colpire gli ayatollah
L’operazione lanciata da Trump sull’Iran si chiamava “Martello di Mezzanotte”. Sette bombardieri B-2 Spirit per scaricare 14 bombe lunghe sei metri e pesanti 14 tonnellate

Operazione “Martello di Mezzanotte”, il piano di Trump per colpire gli ayatollah
L’operazione lanciata da Trump sull’Iran si chiamava “Martello di Mezzanotte”. Sette bombardieri B-2 Spirit per scaricare 14 bombe lunghe sei metri e pesanti 14 tonnellate
Operazione “Martello di Mezzanotte”, il piano di Trump per colpire gli ayatollah
L’operazione lanciata da Trump sull’Iran si chiamava “Martello di Mezzanotte”. Sette bombardieri B-2 Spirit per scaricare 14 bombe lunghe sei metri e pesanti 14 tonnellate
L’operazione si chiamava “Martello di Mezzanotte”. Sette bombardieri B-2 Spirit per scaricare 14 bombe lunghe sei metri e pesanti 14 tonnellate. Le prime 12, su sei aerei, su Fordow, dove le foto satellitari mostrano sei fori molto discreti in corrispondenza delle parti più deboli del complesso sotterraneo, forse le bocche per l’aerazione. Non si tratta di immagini appariscenti, visto che le bombe sono esplose a 60 metri di profondità, ma l’obiettivo sembrerebbe raggiunto.
Le foto satellitari mostrano un traffico veicolare sul sito nelle ore precedenti allo strike, a quanto pare annunciato da Donald Trump in anticipo agli iraniani per invitarli a non reagire se non con azioni simboliche come dopo l’eliminazione del generale Qassem Suleimani. Non è chiaro se fossero macchine movimento terra portate per sigillare la struttura o camion per organizzare dei trasporti d’emergenza. E anche se diciannove camion avessero portato via l’uranio arricchito (cioè lo scenario suggerito da fonti di intelligence), le costose e complesse turbine per crearne altro sono ormai rottami nel cuore del monte Kuh-e Dagh Ghu’i.
Un ulteriore B-2 è invece volato verso Natanz, senza incontrare alcuna resistenza o minaccia proprio come i suoi colleghi. Lì ha sganciato due GBU-57 MOP, accompagnate da una decina di missili Tomahawk lanciati dai sottomarini statunitensi nel Golfo Persico. Altri venti vettori identici hanno invece colpito la struttura di Esfahan legata al programma atomico. “Martello di Mezzanotte” segna un’ennesima umiliazione che racconta l’impotenza dello Stato che dal 1979 si è scelto come nemico sia Israele che gli Usa.
L’errore più grande che può fare un regime è quello di vedere la sua fine come la fine della propria cultura nazionale. Il governo degli ayatollah è uno starnuto di appena quattro decenni e un lustro, nella storia millenaria dell’Iran. Purtroppo i regimi sono anche tali perché hanno un presa salda sul potere e, fino a ora, nessuna sollevazione popolare iraniana ha approfittato dell’ecatombe che l’aviazione di Tel Aviv ha inflitto ai ranghi dei pasdaran. Così la risposta al poderoso e tempestivo – ma illegale, data l’assenza di una dichiarazione di guerra – attacco di Trump all’Iran sarà decisa da un anziano clerico ottantaseienne. Che non è uscito dal suo bunker neanche per trattare con gli Usa, per il timore di venire ucciso dagli israeliani. Questo, almeno, a quanto sostengono le ricostruzioni della mediazione in extremis della Turchia.
E qualsiasi ritorsione sceglieranno l’ayatollah Khamenei e i suoi consiglieri sopravvissuti, incontrerà la reazione delle forze del CENTCOM (circa venti basi di varie dimensioni). Oltre che di tre portaerei nucleari statunitensi. Attaccare una di quelle basi o una portaerei porterebbe a una ritorsione immediata, ancora più severa degli attacchi israeliani. Ingaggiare la flotta statunitense nel Golfo Persico? Idem. Minare lo Stretto di Hormuz per bloccare l’ingente traffico di greggio e gas che transita da lì? La pazienza internazionale verso l’Iran si azzererebbe. A quel punto persino Pechino potrebbe mollare Teheran, visto che il 90% del greggio che passa per Hormuz si consuma in Asia.
Stando così la situazione, con l’intervento statunitense l’unica decisione sensata del regime iraniano sarebbe insomma la resa incondizionata. E invece vediamo una riedizione dello psicodramma del dittatore nel bunker incapace di affrontare lo sfarinamento del mondo creato dalla sua stessa propaganda. Saranno dunque gli iraniani, molti dei quali già in fuga nella piccola Armenia, a subire la lenta agonia di un regime che ha fallito tutti i suoi obiettivi storici. La supremazia sciita non si è mai imposta, l’egemonia regionale è un ricordo, la rete di alleati distrutta e indebolita.
Ben più furbo sembra Naim Qassem, l’attuale leader di Hezbollah, che si è rifiutato di attaccare Israele sul fianco Nord come pare abbia richiesto Khamenei. Il governo Netanyahu non vede l’ora di avere un pretesto per estirpare anche il suo nemico libanese, che saggiamente sta scegliendo di proseguire la tregua (nonostante gli israeliani continuino comunque a colpire operativi sciiti nel Sud del Libano).
Una delle formazioni ribelli curde in Iran ha invece annunciato in video l’arruolamento di beluci e azeri nei suoi ranghi. Paventando una sorta di fronte unico anti-ayatollah, ma senza che siano state condotte operazioni di alcun tipo. Le bombe del governo Netanyahu hanno creato caos e disordine, ma ancora nessun vuoto di potere. O, perlomeno, un vuoto che al momento qualcuno in Iran è capace di riempire.
Un vuoto che si sta allargando. Gli attacchi dell’aviazione israeliana hanno cominciato infine a colpire anche gli alti ufficiali delle Artesh, le Forze armate regolari iraniane. Finora erano stati ‘graziati’ dalle eliminazioni dirette. L’eliminazione dei comandanti più anziani potrebbe aprire la strada a qualche gruppo di ‘giovani colonnelli’ capace di organizzare una qualche forma di rivolta. Al momento però si tratta di fantapolitica, mentre sembra inevitabile l’aggravamento di questa guerra regionale.
Di Camillo Bosco
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