PenalMente, la Corte penale internazionale
La Corte penale internazionale inizia la sua attività nel 2002, ispirata al sogno che i contrasti possano dirimersi con la giustizia
PenalMente, la Corte penale internazionale
La Corte penale internazionale inizia la sua attività nel 2002, ispirata al sogno che i contrasti possano dirimersi con la giustizia
PenalMente, la Corte penale internazionale
La Corte penale internazionale inizia la sua attività nel 2002, ispirata al sogno che i contrasti possano dirimersi con la giustizia
La Corte penale internazionale inizia la sua attività nel 2002, ispirata al sogno che i contrasti possano dirimersi con la giustizia
La Corte penale internazionale inizia la sua attività nel 2002, ispirata al sogno che i contrasti possano dirimersi con la giustizia, colà distinguendo i crimini e i genocidi dal resto della politica internazionale. Un sogno ardito, che in queste ore si dimostra anche illusorio. La giustizia non è alternativa alla forza, ma possibile soltanto dove si riconosce l’illegittimità della forza utilizzata fuori dal diritto o contro il diritto.
Una delle associazioni del mondo radicale si chiama “Non c’è pace senza giustizia” (a significare che le paci ingiuste durano poco ed è bene che durino poco), ma è vero anche il contrario: non c’è giustizia senza pace. Chiedere l’arresto di Putin è inutile, perché ha dichiarato guerra al sistema di diritto in base al quale si desidera fermarlo. Chiedere l’arresto di Gallant e Netanyahu (per giunta con il primo che dissente dal secondo) è un grave danno, perché mette sullo stesso piano due organizzazioni terroristiche e una legittima democrazia. La Corte non se ne è avveduta, ma quella è la strada che ingigantisce la sua contraddizione genetica e la porta verso la dissoluzione.
Dentro uno Stato di diritto, quali sono le democrazie, si demanda alla giustizia il compito di applicare il diritto ai casi specifici che le si sottopongono. Non si tratta di avere scelto la via del diritto al posto di quella della forza, ma di avere messo la forza dello Stato al servizio del diritto. Tanto che, se ci si trova davanti a criminali armati, prima li si affronta con la forza pubblica e con le armi e poi – una volta neutralizzata la minaccia – li si porta in tribunale. L’inversione dei tempi non è solo impossibile ma anche insensata. Al signor giudice si chiede il permesso di entrare nella casa di un privato cittadino, ma non gli si chiede il permesso di sparare a chi sta sparando.
Ancora oltre: l’articolo 139 della nostra Costituzione stabilisce che per quanto il popolo sia sovrano («nelle forme e nei limiti», mai dimenticarlo) comunque non lo è abbastanza da potere cambiare la forma repubblicana. È proibito, non si può. Vuol dire che non sarà mai cambiata? È quel che sperarono e spero, ma significa che per cambiarla si deve prima abbattere la Costituzione, il che sarà possibile solo ribaltando i rapporti di forza che presiedettero alla sua nascita e presiedono alla sua vita. La storia non prescinde dai rapporti di forza. Nei sistemi democratici li si è sublimati negli scontri elettorali, che possono essere anche durissimi ma sono pacifici. Se però qualcuno nega quella sublimazione, lo si affronta con la forza materiale, mica soltanto con quella del pensiero e della parola.
La Corte penale internazionale è un pezzo del sogno multilateralista, ma comporta l’accettazione di un sistema di valori. Se taluno non lo accetta, come Putin, serve a nulla dargli del criminale (quale è), perché se negoziare o schiacciarlo sarà una scelta politica, di opportunità e possibilità, non una sentenza che nasca dal diritto. Se taluno, come Netanyahu, reagisce a un’aggressione terroristica con un fallo di reazione – condannato da parte degli israeliani e da non pochi ebrei della diaspora, ritenuto un errore da parte di chi, come noi, è indissolubilmente amico di Israele – a nulla serve dargli del criminale e anzi è un grave danno, perché renderà più forte la presunta legittimità dell’attacco terroristico. Ed è un danno che la Corte arreca alla propria stessa pretesa di amministrare giustizia, perché la dimostra priva di fondamento storico, di ragionevolezza politica e della forza necessaria.
L’obiezione è: ma allora il diritto penale internazionale può essere usato solo contro chi ha già perso? Obiezione fondata, ma che non si risolve affermando il falso, ovvero che si possa applicarlo anche a chi è auspicabile che vinca. Occorrono misura e tempistica che non illudano possa mai esistere un tribunale ove si processi la storia. Ed è un peccato che quella Corte abbia deciso di ricordarcelo mostrando d’esserselo dimenticato.
di Davide Giacalone
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