Prostituzione in Germania, gli effetti della legalizzazione
Prostituzione in Germania, gli effetti della legalizzazione
Prostituzione in Germania, gli effetti della legalizzazione
Decidere se sia legittimo o meno per una donna vendere il proprio corpo oggi, nel 2023, sembra un nonsense: tra l’esplosione di Onlyfans e la crescita esponenziale del porno amatoriale sul web, è chiaro che lavorare nel mondo del sesso non sia più percepito come scandaloso. Anzi, sono sempre di più le donne – ma anche gli uomini – che arrotondano vendendo in rete immagini e video hot. Quando però ci spostiamo dal web al bordello e dalla narrazione bidimensionale della donna liberata e padrona del suo corpo alla realtà tridimensionale delle ragazze rimaste impigliate nella rete dello sfruttamento, le cose si complicano.
A dimostrazione che chi considera la prostituzione “un lavoro come un altro” pecca di semplicismo, basta prendere in considerazione l’esperienza tedesca. In Germania è entrata in vigore nel 2002 una legge che ha regolamentato e tassato la prostituzione, con l’obiettivo di renderla più sicura per le donne, consentendo di portare in tribunale gli acquirenti che non pagavano e garantendo l’accesso a servizi sanitari e sociali. Sulla carta, una legge giusta e razionale volta a regolamentare un fenomeno “vecchio come il mondo” di per sé innocuo. Nella pratica, una decisione che ha portato all’aumento esponenziale della domanda e dell’offerta, con la creazione di mega bordelli che possono accogliere fino a mille clienti e che propongono l’offerta “all you can fuck”: paghi tra i 50 e i 100 euro e puoi avere una birra, una salsiccia e tutte le donne che vuoi.
Questo significa un grande flusso di donne dai Paesi balcanici e africani verso la Germania per lavorare nei bordelli tedeschi: all’apparenza risorse, nella sostanza esseri umani sfruttati. Una tratta vera e propria difficilmente dimostrabile ora che lucrare sul commercio di sesso è perfettamente legale e le donne vengono istruite su quello che devono dire e fare per evitare guai. Lo sfruttamento della prostituzione in Germania non è infatti più un reato, a meno che non si dimostri che il proprietario del bordello trattiene più del 50% delle entrate delle sue lavoranti. E se non fosse che i costi del mestiere sono diventati insostenibili da quando l’aumento dell’offerta ha abbassato drasticamente i prezzi, potrebbe anche sembrare una percentuale legittima.
Ma proviamo a fare i conti della serva. Ormai una sex worker non guadagna più di 30 euro netti a rapporto a fronte di un costo base di 160 euro per la stanza e 25 euro di tasse, ergo ogni giorno deve vedere 6 clienti prima di iniziare a guadagnare. Anche i famosi controlli medici si sono rivelati una farsa: la maggior parte delle donne che arrivano dal Sud del mondo non ha i documenti e non riceve alcuna assistenza medica o sociale. Per completare il quadro, la legalizzazione dello sfruttamento ha anche provocato un effetto paradossale: ora che andare a prostitute non è più proibito, cresce la richiesta di pratiche estreme, inclusa la grande domanda di donne incinte, che lavorano per tutta la durata della gravidanza e spesso abbandonano i figli per riprendere l’attività a soli tre giorni dal parto.
di Maruska Albertazzi
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