Putin e la minaccia nucleare
Putin e la minaccia nucleare
Putin e la minaccia nucleare
I bombardamenti scagliati su Kiev e diverse altre città ucraine, sebbene efferati e vigliacchi perché diretti a colpire la popolazione civile e a seminare il panico, non segnano un vantaggio militare concreto per i russi, che rimangono bloccati sul fronte. Preoccupa che lo zar possa cedere ancora alle pressioni degli ultranazionalisti e abbia affidato ora il comando operativo al generale Surovikin, che non a caso ha guidato le forze aerospaziali. Gli analisti studiano perciò ancora con attenzione il grado di probabilità con cui Putin potrebbe ricorrere a un’arma nucleare tattica. Si è quindi cominciato a valutare se può considerarsi attuale la dottrina della escalation to de-escalate, esposta sulla rivista militare russa “Voennaia Mysl” nel 1999. Tale teoria sostiene che il ricorso ad attacchi nucleari limitati in un conflitto locale/regionale convenzionale intimorirebbe l’avversario fino a fargli chiedere la pace. Seguendo il criterio dei “costi-benefici”, i principali centri di analisi indipendenti si sono quindi interrogati sulla sua validità.
Una valutazione considera i condizionamenti cui è sottoposta la scelta di impiegare un’arma nucleare tattica. Questa tecnicamente potrebbe non essere risolutiva del conflitto. Richiede intanto la certezza di avere un vettore balistico che non venga intercettato, circostanza tutta da verificare specie ora che l’allarme nucleare è stato dato. L’ordigno dovrebbe poi esprimere un raggio necessariamente limitato, anche per evitare che il fall out finisca per estendersi sugli stessi russi. Se poi andasse a segno, non potrebbe colpire masse di truppe o mezzi particolarmente estese, perché l’esercito ucraino è piuttosto articolato e flessibile su gruppi tattici diradati e mobili sul terreno. Rimane l’effetto dimostrativo che certo può avere un senso, come l’ipotesi di lanciare l’ordigno sul Mar Nero, ad esempio sull’Isola dei Serpenti per il valore simbolico che ha assunto. Tuttavia gli effetti non sarebbero determinanti e i russi farebbero bene a valutare la capacità di resilienza sinora espressa dagli ucraini nonché l’ulteriore livello di sostegni esterni che riceverebbero.
Altre ipotesi più sfavorevoli considerano la possibilità che Putin punti a un obiettivo di maggiore rilievo, addirittura Odessa o la capitale Kiev. Sul sito “Nukemap” gli esperti stimano che un’esplosione nucleare del genere potrebbe causare 20mila morti e 40mila feriti. A quel punto sarebbe però elevato per Putin il rischio di perdere definitivamente l’ultimo margine di appoggio di molti Paesi, tra cui Cina e India. E la Nato potrebbe rispondere efficacemente iniziando a colpire la flotta russa del Mar Nero, dove con la potenza che possiede anche delle sole armi convenzionali può facilmente riconquistare la Crimea.
La Casa Bianca non ha dato indicazioni sul tipo di reazioni che porrebbe in essere, ma ha precisato che sui canali riservati la Russia è stata avvertita delle “gravi conseguenze”: anche l’incertezza su ciò che può aspettarsi Putin è una buona arma di dissuasione. L’escalation to de-escalate vale specularmente anche per i russi. In ogni caso è tempo che l’Onu e la comunità internazionale, a cominciare dall’Europa, coinvolgano Cina e India affinché assumano una posizione netta, per imporre la pace ed evitare il peggio.
di Maurizio Delli Santi
Membro della International Law Association
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche