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Putin negozia

Putin il perdente

La condizione posta da Putin per negoziare, ovvero che Zelensky sia rieletto, illumina la follia dittatoriale: lui gli avversari li ammazza e deporta

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Putin il perdente

La condizione posta da Putin per negoziare, ovvero che Zelensky sia rieletto, illumina la follia dittatoriale: lui gli avversari li ammazza e deporta

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La condizione posta da Putin per negoziare, ovvero che Zelensky sia rieletto, illumina la follia dittatoriale: lui gli avversari li ammazza e deporta

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La condizione posta da Putin per negoziare, ovvero che Zelensky sia rieletto, illumina la follia dittatoriale: lui gli avversari li ammazza e deporta

La condizione posta da Putin per negoziare, ovvero che Zelensky sia rieletto, illumina la follia dittatoriale: lui gli avversari li ammazza e deporta. L’ammissione che l’uccisione di Kirillov sia un fallimento dimostra che le dittature non sono affatto sicure e che Putin ne attribuisca la responsabilità all’intelligence è la conferma che la sua mano trema. C’è voluto il crollo dell’incrollabile impero sovietico per convincere i suoi laudatori di quanto fosse fradicio: a questo giro provino a capire prima. Come da capire e non soltanto ripetere sono le parole di Zelensky.

Non è abbastanza chiaro che la possibilità di avviare un negoziato non è la premessa di un minore pericolo e di una minore spesa per noi europei, ma l’avvicinarsi di un maggiore pericolo e di una maggiore spesa. Così come il permanere di una guerra ai nostri confini consente l’ambiguità di tenere nei governi anche forze che simpatizzano per Putin (tanto sono ridotte all’irrilevanza con l’impossibilità di cambiare la posizione dei singoli governi), mentre l’auspicabile cessare della guerra – mediante l’impiego di forze militari europee che si interpongano fra l’aggressore e l’aggredito – farebbe esplodere le contraddizioni e diversi governi, fra i quali il nostro, si ritroverebbero a gestire una complicata tensione di bilancio. Questo non significa che sia meglio tenersi la guerra, ma significa che le parole di Zelensky andrebbero lette con maggiore attenzione.

Comunicando che gli ucraini non hanno la forza di riprendersi la Crimea e il Donbas, non sta annunciando la resa ma ricordando il pericolo che corre l’Unione europea. Fin quando la guerra prosegue, con l’eroica resistenza dell’Ucraina, le democrazie possono limitarsi a fornire (troppo pochi) aiuti e lasciare che su quel fronte si consumi la forza russa. Con poco sforzo e con il sangue degli ucraini si è ottenuto che il dittatore Putin sia partito teorizzando la fine delle democrazie e affermando la potenza militare imperiale con cui ricostituire un dominio che riporti ai confini dell’Unione Sovietica e sia giunto a essere impantanato in una guerra di posizione, ridotto a vassallo della Cina, compare dell’Iran e costretto a chiedere soldati alla Corea del Nord. Putin è il perdente, fin dall’inizio, e i suoi profeti, che millantavano l’invincibile forza russa, sono ancora lì che biascicano insensatezze. Questo fin quando la guerra dura.

Ma se Zelensky non parla soltanto del Donbas, tirando in ballo anche la Crimea – occupata dai russi nel 2014 – non sta parlando del fronte, ma di una questione che coinvolge la legittimità della sovranità nazionale. Sono disposte le democrazie europee a tenersi al confine la minaccia di un guerrafondaio che non le rispetta? Sono disposti gli Stati Uniti, con qualsiasi amministrazione, a concedere un così pericoloso esempio? Zelensky non sta dicendo che si ritirano loro, ma che non può prolungarsi all’infinito la comoda posizione nostra.

Negoziare? Giusto, ma chi e cosa? Al negoziato, fin qui, abbiamo creduto soltanto noi. Lo abbiamo dimostrato mettendo dei limiti all’uso che gli ucraini possono fare delle armi fornite. Che senso ha se non quello di puntare a non compromettere l’apertura di un negoziato? Bene, dicono gli ucraini, ma se noi crepiamo senza poter fare vera guerra e se questo avviene perché voi puntate al negoziato, allora negoziate. Ma quando fosse persa l’Ucraina sareste voi europei a trovarvi al posto nostro. Al negoziato, del resto, hanno creduto gli ucraini ed è questa la ragione per cui sono entrati in territorio russo e preso una porzione dell’oblast’ di Kursk: se il negoziato partirà dal congelamento dei fronti non soltanto i russi saranno in Ucraina, ma gli ucraini saranno in Russia. Roba da scambiare.

Nel negoziato non ha mai creduto Putin, che ancora ieri ha posto ostacoli. Che l’Ucraina crolli non lo crede più nemmeno lui. Criminale lo è di sicuro, ma forse non scemo. Ha puntato tutte le sue carte sul crollo, prima o dopo, delle democrazie occidentali, della loro capacità di reggere in una guerra pur lontana e dove non perdono una sola vita, ma che comunque dura da quasi tre anni. Facile dire che ha puntato sull’elezione di Trump, meno facile che le cose vadano nel senso di una Casa Bianca che gli lasci mano libera. Il che, oltre tutto, sarebbe l’esatto opposto del difendere il ruolo internazionale del dollaro. Per questo il presidente eletto ha detto «Putin ha perso».

Le parole di Zelensky accompagnano la postura di Trump: non possiamo riprenderci le terre invase e cederle metterebbe a rischio gli europei, tocca a loro mettersi la mano in tasca e aiutare gli ucraini a negoziare da posizioni di forza. Che non può che essere forza militare. Occorre avere una mente vile per supporre che siano solo affari suoi e occorre essere ciechi per non vedere che la prima linea si sposta verso di noi. È ragionevole, quindi, che l’effetto di quelle parole sia far correre la Nato e l’Ue a dire: siamo e resteremo al fianco dell’Ucraina.

di Davide Giacalone

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