Quello che dell’Ucraina non dicono
Musica elettronica, pub, startup, movimenti femministi e libertà: l’Ucraina era un posto bellissimo prima della guerra. Ce la racconta il giovane fotoreporter italiano Carlo Cozzoli, inviato sul posto.
| Esteri
Quello che dell’Ucraina non dicono
Musica elettronica, pub, startup, movimenti femministi e libertà: l’Ucraina era un posto bellissimo prima della guerra. Ce la racconta il giovane fotoreporter italiano Carlo Cozzoli, inviato sul posto.
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Quello che dell’Ucraina non dicono
Musica elettronica, pub, startup, movimenti femministi e libertà: l’Ucraina era un posto bellissimo prima della guerra. Ce la racconta il giovane fotoreporter italiano Carlo Cozzoli, inviato sul posto.
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Musica elettronica, pub, startup, movimenti femministi e libertà: l’Ucraina era un posto bellissimo prima della guerra. Ce la racconta il giovane fotoreporter italiano Carlo Cozzoli, inviato sul posto.
C’è una netta differenza tra scattare fotografie ed essere fotografi. Senza scomodare la ricchissima storia del fotoreportage, è indubbio che la tecnologia ci ha resi tutti potenziali padroni del mezzo ma è in queste tristi occasioni, come il conflitto russo-ucraino, che la differenza sostanziale tra spettatori ignari e protagonisti attivi si mostra in tutta la sua evidenza.
Carlo Cozzoli, fotogiornalista di 28 anni, si trova in Ucraina già da due settimane con il preciso intento di raccontare le verità più nascoste di questo conflitto insensato ma non inatteso. Inizia la sua carriera con LaPresse per poi passare all’agenzia Fotogramma di Milano, raccogliendo preziose collaborazioni con il ‘Corriere della Sera’, ‘La Repubblica’ e ‘L’Espresso’.
Nel suo zaino poche cose essenziali, destinazione: un inferno chiamato Ucraina. Biglietto sola andata. Lo sguardo concentrato sull’epicentro della resistenza come Kyiv ma anche e soprattutto sulle campagne, le periferie, sull’Ucraina tutta che da ben 10 anni si preparava a combattere per difendere la propria cultura e la propria libertà.
Carlo è naturalmente attratto, data la sua giovane età, nell’indagare soprattutto le nuove generazioni ucraine che, a dispetto di ciò che si pensa, rappresentano il cuore di questa resistenza patriottica che nemmeno Putin pensava tanto pulsante. Un esempio? Poco prima dell’inizio dei bombardamenti, le scuole erano state già chiuse per permettere ai giovani di prepararsi al conflitto, sostenendo la famiglia con il lavoro o l’approvigionamento delle materie prime.
Gli stessi ragazzi che, oggi, imbracciano fucili e preparano molotov; che comunicano su Telegram per seguire gli arrivi (segretissimi) degli aiuti su camion dall’Europa e no, organizzando i materiali e il loro spostamento.
In sintesi, aiutando attivamente a portare avanti la macchina della vita quotidiana.
Ma le giornate dei giovani in Ucraina, senza la guerra, non sono poi così diverse dalle nostre. Nelle conversazioni di Carlo (rigorosamente con traduttrice non essendo molto diffuso l’inglese) salta fuori l’inaspettato: tutte le città in Ucraina, anche le più piccole, sono ricche di pub e discoteche. Di un generale fermento culturale.
I giovani amano bere la birra, fondare associazioni di lotta e protesta, lo street-art e il cinema. Il movimento femminista dilaga in tutto il Paese da anni. “È come la Germania, Berlino in particolare, con un animo underground molto forte e un’organizzazione impeccabile. Solo più povera”.
La musica elettronica è diffusissima e idolatrata a fenomeno rivoluzionario e di riscatto. Già nel 2016 il parlamentare Serhiy Leshchenko parlò del fenomeno in questi termini: “Qui sta accadendo la stessa cosa successa a Berlino dopo la caduta del muro, quando è scoppiato il boom della musica elettronica. Sono tempi vibranti. E i club, come le startup o la street art, sono parte della rivoluzione”.
Ma oggi tutto questo non conta, oggi si lotta.
“I ragazzi qui non bevono neanche la birra in questi giorni. È una forma di rispetto: si combatte per difendere la propria patria”. Già, il patriottismo. Un valore messo in disparte dalle nuove generazioni italiane, che davanti hanno trovato la strada costellata di diritti acquisiti grazie al sacrificio di altri giovani come loro.
Di certo la storia dell’Ucraina è una storia travagliata di lotta per l’indipendenza. Quasi come se fosse un marchio nel Dna, questi giovani vivono da sempre nell’idea che bisogna difendere ciò che per noi è assolutamente scontato e banale come la licenza di fare un po’ quel che ci pare. Uomini, donne e bambini conoscono l’abnegazione per la propria terra sin dai primi passi. È per questo che bisogna aiutarli. Perché la storia dell’Ucraina è la storia, potenziale, dell’intera umanità in lotta per la libertà che mai e poi mai, può essere negoziata.
Conclude Carlo: “molti pensano che si sia risvegliato adesso un orgoglio ucraino, ma non è così. C’è sempre stato, solo che adesso noi ce ne accorgiamo perché sta accadendo vicino a noi e abbiamo paura delle conseguenze sulla nostra vita. In Ucraina si lotta da 10 anni ed è un posto davvero bellissimo. Senza la guerra”.
di Raffaela Mercurio
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Tag: Ucraina
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