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Rambo, Reagan e la forza dell’America

La trama di “Rambo”, per chi non l’avesse visto, tiene in sé tre aspetti elementari ma fondamentali della cultura reaganiana e liberista di quegli anni.
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Rambo, Reagan e la forza dell’America

La trama di “Rambo”, per chi non l’avesse visto, tiene in sé tre aspetti elementari ma fondamentali della cultura reaganiana e liberista di quegli anni.
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Rambo, Reagan e la forza dell’America

La trama di “Rambo”, per chi non l’avesse visto, tiene in sé tre aspetti elementari ma fondamentali della cultura reaganiana e liberista di quegli anni.
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La trama di “Rambo”, per chi non l’avesse visto, tiene in sé tre aspetti elementari ma fondamentali della cultura reaganiana e liberista di quegli anni.

Il primo Rambo non si scorda mai. Quarant’anni fa, nel 1982, usciva al cinema il film con Sylvester Stallone protagonista nei panni di un reduce dal Vietnam. Sarà l’inizio di una saga, con tanto di sequel (Rambo 2, 3 e via filmando) ma quell’opera prima resterà, nella sua semplicità e chiarezza, non soltanto una pellicola di successo ma il simbolo di una stagione americana, quella dei primi anni Ottanta con il repubblicano Ronald Reagan alla Casa Bianca.

La trama di “Rambo”, per chi non l’avesse visto, tiene in sé tre aspetti elementari ma fondamentali della cultura reaganiana e liberista di quegli anni. Primo: chi ha fatto il proprio dovere, in America, merita rispetto. Secondo: l’ingratitudine verso chi ha servito la patria, magari in una guerra tragica come quella del Vietnam, non può e non deve essere un sentimento americano. Terzo: se diventa stupida e asfissiante, la burocrazia deve essere presa a calci (metaforicamente), nel senso di snellita, rinnovata. Insomma, resa intelligente.

C’è un dialogo, nel film, che ben ritrae tutto ciò. Quando Rambo, spaesato nella sua America dopo anni a combattere in Vietnam, si sfoga con il suo ex comandante: «Io là pilotavo gli elicotteri, guidavo un carro armato, rispondevo di attrezzature per milioni, qui non riesco neanche a trovare lavoro come parcheggiatore! Ma perché? Perché?! Dove sono finiti i miei amici, dove sono finiti? Dove sono finiti tutti quei ragazzi? Dove sono finiti loro? Avevo tutti quei compagni intorno, erano amici miei, qui non c’è più nessuno. Si ricorda di John Voli? Mi disse: “Quando torniamo compriamo cento biglietti della lotteria, vinciamo un mucchio di soldi e ce ne andiamo a Las Vegas”. Non faceva che parlare di Las Vegas e di comprarsi una macchina. (…) Noi stavamo in un granaio, arriva un ragazzino, con la sua scatola da lustrascarpe, entra e dice: “Io lucidare prego, lucidare”. Io ho detto di no ma quello continuava a chiedere e Jo ha detto di sì. E io, io sono andato a prendere un paio di birre. In quella scatola c’era l’esplosivo e quando l’ha aperta il suo corpo è volato in aria, in tanti pezzi».

La guerra vera e la burocrazia lontana dalla guerra. Un vasto programma, cambiare la burocrazia, che però non ha impedito a Reagan negli anni della sua presidenza di cimentarsi in una sfida di rinnovamento costante e con successo. Ecco perché la linea che unisce Stallone-Rambo a Reagan-riformatore non è fiction ma l’incastro di una precisa realtà di quegli anni. Del resto, chi andasse a ricercare negli archivi fotografici dell’epoca troverebbe con facilità foto di Stallone e di Reagan assieme, immagini di amicizia e di cordialità che ben rappresentano l’America degli anni Ottanta. Reagan, in un suo discorso pubblico, arrivò persino a citare il suo personaggio: «Questo mi ricorda un film molto popolare. E nello spirito di Rambo vi dico che questa volta vinceremo». Perché il linguaggio è importante e Reagan, con il suo ottimismo, ha segnato il superamento di incertezze e debolezze figlie della stagione di Jimmy Carter alla Casa Bianca. Anche per questo Rambo rappresenta, ancora oggi, un puzzle importante per la cultura a stelle e strisce.

di Massimiliano Lenzi

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