Fenomenale faccia di bronzo, quella di Nigel Farage. Ma anche un rivelatore dell’ennesimo tentativo di inquinare le acque delle democrazie occidentali. È stato il promotore del referendum Brexit che nel 2016 portò il Regno Unito a uscire dall’Ue, accusata d’essere la causa dell’impoverimento inglese. Mentre, invece, l’Uk cresceva.
La sua campagna antieuropeista era piaciuta moltissimo a vari cameratucci d’altri Paesi europei, Italia compresa, che avevano in comune una sola cosa: l’ammirazione per Putin e la dittatura russa. Farage raccontò una marea di balle e, il giorno dopo la vittoria, non ebbe problemi ad ammettere che erano tali. Ciclopica quella sui tanti denari che si sarebbero resi disponibili per la sanità. Naturalmente non s’è vista una sterlina che sia una. Dopo di che è sparito dalla circolazione. Ora ricompare e dice: Brexit è stato un fallimento, ma la colpa è dei politici conservatori, che si sono comportati peggio dei commissari europei.
Ha ragione su un punto: Brexit è stata un fallimento. Ha spaccato il Regno Unito, lo ha impoverito e messo in crisi sia i settori industriali che quelli finanziari, per giunta riaprendo la piaga irlandese. Ha torto – marcio – sulle responsabilità, perché la prima è quella della demagogia distruttiva di cui fu capace.
Ma perché ricompare sulla scena? A pesare è lo schierarsi deciso del governo inglese contro la criminale guerra che Putin ha aperto in Ucraina, sicché un’altra dose di veleno demagogico è stata richiesta.