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Scholz

Riarmando i carri

Scholz ha deciso di inviare i “Leopard 2” in Ucraina. Ma perché il cancelliere tedesco ha tirato la corda fino all’ultimo?
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Scholz ha deciso di inviare i “Leopard 2” in Ucraina. Ma perché il cancelliere tedesco ha tirato la corda fino all’ultimo?
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Scholz ha deciso di inviare i “Leopard 2” in Ucraina. Ma perché il cancelliere tedesco ha tirato la corda fino all’ultimo?
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Scholz ha deciso di inviare i “Leopard 2” in Ucraina. Ma perché il cancelliere tedesco ha tirato la corda fino all’ultimo?
Berlino – Alla fine Olaf Scholz ha oltrepassato la linea rossa e deciso ieri sera l’invio dei Leopard 2 all’Ucraina. Una scelta giunta alla fine di molte tribolazioni e maturata soprattutto dopo che a essersi irritati erano stati gli alleati più potenti, gli americani. La “Süddeutsche Zeitung” aveva rivelato che la scorsa settimana, alla vigilia del vertice Nato di Ramstein, erano volate parole grosse negli uffici della Cancelleria di Berlino tra il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin e il capo dell’ufficio di Scholz Wolfgang Schmidt, uomo chiave del cancelliere. Un rapporto del governo di Washington (che con tutta evidenza non era stato tenuto riservato) esplicitava l’irritazione dell’amministrazione Biden per la pretesa tedesca di consegnare i Leopard all’Ucraina solo se gli Stati Uniti avessero inviato i loro carri armati Abrams. Un nesso che gli americani non comprendevano, anche se poi proprio la loro scelta di inviare questi ultimi ha probabilmente sbloccato la vicenda. Ma perché il cancelliere ha tirato la corda fino all’ultimo, provocando la collera degli alleati Nato e turbolenze nella sua stessa maggioranza di governo? Verdi e liberali hanno criticato la prudenza del cancelliere aumentando di giorno in giorno la pressione anche a costo di accrescere la sensazione di scollamento nel governo. Il ministro degli Esteri Annalena Baerbock (Verdi) aveva scavalcato il suo cancelliere assicurando che alla fine Berlino non si sarebbe messa di traverso all’invio; l’esperta di politica estera dei liberali al Parlamento, Marie-Agnes Strack-Zimmermann, non aveva esitato a definire «catastrofica» la comunicazione del leader socialdemocratico sulla vicenda. Almeno tre sono i motivi che spiegano i tentennamenti di Scholz e tutti hanno carattere interno. Il primo è legato alla feroce resistenza dentro la stessa Spd dell’ala di sinistra, legata alla vecchia Ostpolitik di Willy Brandt e alle politiche di riappacificazione con Mosca. Una componente rafforzatasi nel partito e in Parlamento, con la quale il cancelliere deve necessariamente fare i conti. Il secondo riguarda l’umore dell’opinione pubblica tedesca, certamente spaventata dal comportamento russo e favorevole al sostegno all’Ucraina, ma sempre entro confini di prudenza. Anche i sondaggi più recenti mostrano una maggioranza recalcitrante, quando dagli aiuti economici si passa a quelli militari. Nei tedeschi è sempre vivo il timore per una possibile Terza guerra mondiale o per uno scivolamento verso un conflitto nucleare, così come il vecchio senso di colpa nei confronti della Russia per l’invasione nazista di oltre ottant’anni fa. E il terzo, che è conseguente, riguarda il consenso e i timori per la lunga maratona elettorale regionale che in diversi mesi del 2023 vedrà urne aperte a Berlino, Brema, Schleswig-Holstein e Baviera. Elezioni critiche per l’Spd, a cominciare da quelle del 12 febbraio nella capitale, dove il sindaco socialdemocratico in carica (Franziska Giffey) arranca dietro Verdi e Cdu. Così Scholz ha provato fino all’ultimo a tenersi in equilibrio su tutto questo, anche a costo di sperperare la propria leadership e quella del suo Paese, il quale – nonostante la storica decisione di inviare i carri armati in Ucraina – ancora attende di capire in cosa consista quella svolta epocale (Zeitwende) promessa dallo stesso cancelliere all’indomani dell’aggressione russa. Di Pierluigi Mennitti

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