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riccardo valle

L’Afghanistan dei talebani raccontato da Riccardo Valle

Ci sono poche speranze di riformismo talebano. Riccardo Valle,  fondatore di “The Khorasan Diary”, racconta l’attualità del regime
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L’Afghanistan dei talebani raccontato da Riccardo Valle

Ci sono poche speranze di riformismo talebano. Riccardo Valle,  fondatore di “The Khorasan Diary”, racconta l’attualità del regime
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L’Afghanistan dei talebani raccontato da Riccardo Valle

Ci sono poche speranze di riformismo talebano. Riccardo Valle,  fondatore di “The Khorasan Diary”, racconta l’attualità del regime
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Ci sono poche speranze di riformismo talebano. Riccardo Valle,  fondatore di “The Khorasan Diary”, racconta l’attualità del regime
Riccardo Valle è giovane. In Italia un ventisettenne come lui è ritenuto poco più che un ragazzo, ma quando la passione si unisce all’autorevolezza non c’è pregiudizio che tenga. «Mi sono appassionato al mondo musulmano tra i banchi scolastici» racconta «e il percorso per esplorarlo mi ha portato fra Afghanistan e Pakistan, cioè in una regione che rappresenta un punto di congiunzione unico tra le varie culture dei mondi arabo, iranico, centroasiatico e del subcontinente indiano». Insieme a tre cittadini pakistani Valle ha infatti fondato il progetto multimediale “The Khorasan Diary” a Islamabad, diventata in pratica la sua città d’adozione. «È la capitale di un Paese complicato, con contraddizioni molto forti che possono risultare difficili da comprendere» spiega «e il diario è nato con l’idea di raccontarle attraverso le voci di persone che vivono tutti i giorni situazioni di conflitto e di instabilità politica ed economica. Visto l’interesse raccolto l’abbiamo quindi trasformato in un polo di ricerca il cui fine è quello di dare spazio agli studiosi e ai giornalisti locali, soprattutto per sfuggire all’echo chamber dei pochi centri occidentali che si dedicano alla zona». Un progetto dal nome ecumenico, dato che nel IV secolo dopo Cristo Khorāsān (“Dove nasce il sole”) indicava la regione più a Est dell’impero persiano, estesa fra l’attuale Iran orientale, l’Afghanistan, il Turkmenistan meridionale e il Pakistan occidentale. Un’area del mondo assai remota rispetto all’Occidente e di conseguenza suscettibile al fenomeno delle fake news, talvolta diffuse persino da inviati ritenuti autorevoli, come quella dell’esistenza di “talebani riformisti” e di altri retrogradi. «Nei vent’anni scorsi il momento di massima criticità per il fazionalismo talebano fu la morte nel 2014 del loro emiro storico – il mullah ‘Omar – che portò a delle defezioni alle quali tuttavia sopravvissero, mentre oggi si può parlare di tre fazioni piuttosto che di due» precisa Valle. «La fazione formata da quelli che hanno firmato gli accordi di Doha è in effetti aperta a fornire certe concessioni alla società civile del Paese, ma è molto minoritaria rispetto alle altre. La più importante è infatti la fazione di Kandahar, ovverosia la cerchia ristretta del miramolino Haibatullah Akhundzada, responsabile delle politiche più misogine e retrograde che hanno reso proverbiale il movimento. La terza fazione è invece quella degli Haqqani, facenti capo all’attuale ministro degli Interni Sirajuddin Haqqani che di recente ha mosso delle inaudite critiche a Akhundzada – molto condivise fra i talebani – riguardo il bando completo dell’educazione femminile e la corruzione e il nepotismo ancora persistenti nella pubblica amministrazione». Nonostante le diverse voci, è però sempre il miramolino a detenere il potere assoluto, forte dell’aderenza alla shari’a (certificata persino da una Corte suprema presieduta da uno sceicco talebano) e tutti sono tenuti a seguirne le direttive. «Questo perché per i talebani la fedeltà è la qualità più importante. Una vena di “inclusività” ha permesso loro di accogliere persino comandanti o‘zbeklar o anche hazāra, soltanto per eliminarli al minimo accenno di ribellione» conclude. Poche speranze di riformismo talebano, quindi. Di Camillo Bosco  

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