Non sarà breve e non sarà facile, ma non è scritto da nessuna parte che debba finire con una vittoria strategica di Vladimir Putin. Anzi. Tenere unito e compatto il fronte occidentale davanti alla sfida epocale lanciata dal presidente russo è l’imperativo assoluto. Il suo obiettivo è dividerci, il nostro impegno non lasciarglielo fare. L’unica arma a disposizione nei confronti dello zar è la pressione economica, che diventa pressione politica, posto che sul tavolo non c’è e non ci sarà la pressione militare, se non indiretta.
L’opinione pubblica dei Paesi occidentali, a cominciare da quella italiana, merita di essere trattata da soggetto adulto e consapevole, informandola senza tentennamenti sul livello di rischio insito nelle mosse russe. Bisognerà parlar chiaro, partendo dai costi che dovremo sopportare. Perché il fattore tempo sarà decisivo e se c’è – come appena scritto – un prezzo per noi, ci sarà anche per Putin. Salatissimo. Purché non si ceda alla tentazione dei distinguo e della prudenza pelosa, magari in nome di vecchie fascinazioni.
L’esempio su come si debba trattare un ricattatore energetico – l’ultima maschera è caduta proprio a carnevale, Vladimir Putin questo è – l’ha dato il neo cancelliere tedesco Scholz. Alla prima, vera prova della sua leadership, ha risposto “Presente!” con prontezza, congelando il gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2. Una botta per Putin, come testimoniato dalla sgangherata reazione affidata al suo vice Medvedev.
Quando quest’ultimo è esploso, minacciando come in una taverna da angiporto gli occidentali «di essere i benvenuti nel nuovo mondo, dove il gas costerà € 2.000 al metro cubo», il mercato – quello vero – lo ha bastonato, facendo scendere il prezzo del gas. Ok, in Russia sono storicamente poco avvezzi alle regole internazionali del commercio, della concorrenza e del libero mercato, ma certo non possono sfuggire a un principio di base: senza qualcuno che compri un tuo bene, potrai anche essere seduto su una montagna di metano ma farai lo stesso bancarotta.
L’eccesso di dipendenza europea dal gas russo – in particolar modo tedesca (e questo ingigantisce la mossa politica di Scholz) – è un fatto, ma lo è anche che in un braccio di ferro prolungato Putin potrebbe finire per pagare un prezzo letteralmente troppo elevato. Quanto reggerebbe ai costi di una gigantesca mobilitazione e al rischio di default delle esportazioni energetiche, vero e unico asset economico del Paese? Ecco perché non c’è alternativa al fronte unico Usa-Europa e non saranno ammissibili fughe di lato o in avanti.
Detto della dipendenza tedesca, l’Italia non è molto da meno. I costi che dovremo sopportare saranno notevoli: quelli diretti li stiamo già sentendo, a cui si aggiungono le ricadute delle proteste di categoria come nel caso degli autotrasportatori.
Se la bolletta del riscaldamento è un problema, l’approvvigionamento energetico delle nostre industrie è il vero incubo. Una sfida molto complessa, aggravata dalle poche scelte a nostra disposizione. La Germania potrà cautelarsi rimandando la dismissione nucleare e/o tornando a usare maggiormente, per un tempo definito, il carbone. Noi, in una classica ironia della Storia, ci aggrappiamo al detestatissimo Tap, il gasdotto che approda in Puglia saltando la Russia.
Non basterà, così come l’obiettivo del 10% di copertura del fabbisogno di gas con l’estrazione in Adriatico è di là da venire. Con le rinnovabili produciamo il 37% di elettricità e per far salire sensibilmente questo dato serviranno riconversioni lunghe e costose, difficili da avviare in piena emergenza.
Abbiamo poche opzioni, meno dei tedeschi, mentre i francesi puntano ancor di più sul nucleare (scommettiamo che andremo a comprare più elettricità da loro?). Onestamente, sono pochissime nell’immediato e questo ci rende un obiettivo naturale della propaganda di Putin. Reggere e tenere unito il fronte occidentale è la nostra missione in questa guerra del gas.
di Fulvio Giuliani
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