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Russia scoppiata

Dopo l’ultimo attentato nella capitale, che ha ucciso un generale di primissimo piano, la Russia risulta sempre più in difficoltà all’interno e all’esterno dei suoi confini

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Russia scoppiata

Dopo l’ultimo attentato nella capitale, che ha ucciso un generale di primissimo piano, la Russia risulta sempre più in difficoltà all’interno e all’esterno dei suoi confini

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Dopo l’ultimo attentato nella capitale, che ha ucciso un generale di primissimo piano, la Russia risulta sempre più in difficoltà all’interno e all’esterno dei suoi confini

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Dopo l’ultimo attentato nella capitale, che ha ucciso un generale di primissimo piano, la Russia risulta sempre più in difficoltà all’interno e all’esterno dei suoi confini

Oggi la Russia e il suo presidente Vladimir Putin sono assai più deboli rispetto al gennaio del 2022, l’ultimo mese prima dell’invasione militare dell’Ucraina voluta dallo zar. Dopo che ieri a Mosca il tenente generale Igor Kirillov – capo delle Forze di difesa nucleare, biologica e chimica della Russia – è stato ucciso da un ordigno esplosivo piazzato su un monopattino, l’indebolimento russo si è fatto ancora più evidente. Non solo perché i servizi di sicurezza dell’Ucraina hanno rivendicato l’uccisione di Kirillov nella capitale nemica. Ma anche per il fatto che un gerarca di quel livello e con quei compiti non può morire così, in casa propria.

Tutto ciò – come già accaduto in passato per figure di rilievo del regime degli ayatollah colpiti da Israele in Iran – denota una fragilità interna russa, di sicurezza e di fiducia in chi comanda, senza escludere l’ipotesi che qualcuno, dall’interno, possa aver passato pure dritte preziose agli ucraini. Basterebbe questo a rendere la didascalia odierna della fragilità di Putin e della Russia.

Ma c’è di più e i segni di questa crisi russa, che ne appanna pure il ruolo di potenza globale cui Putin tiene tanto (sino al punto d’inseguire – senza successo – ambizioni imperiali), sono molteplici. Vediamoli. Anzitutto l’Iran, il principale alleato di Mosca nell’area mediorientale, è in una crisi senza precedenti. Il regime è sempre più fragile sia internamente sia nelle sue ambizioni esterne. Hezbollah è stato sbaragliato da Israele e con il crollo della Siria di Assad la sconfitta per Teheran e Mosca è diventata sonora.

Con la fuga in Russia di Assad, Mosca perde pure il suo affaccio sul Mediterraneo che Putin considerava e considera strategico per una grande potenza. Il piano b – se così lo vogliamo chiamare – sarebbe spostare l’affaccio russo sul Mediterraneo in Libia. O meglio, nella parte della Libia controllata dal generale Haftar, la Cirenaica. Un piano b per nulla facile, visto che sulla Libia aleggiano anche gli interessi della Turchia di Erdoğan. Il vero artefice – assieme a Israele, anche se separatamente – della sconfitta russa e iraniana in Siria.

Insomma, a oggi il più in salute dei tre Paesi dell’asse dei cattivi (Russia, Iran e Corea del Nord) pare essere Kim Jong-un. Il che è tutto dire riguardo alla crisi russa. C’è poi la Cina di Xi Jinping, alleata di Putin (che dipende sempre di più economicamente da Pechino) ma che gioca una sua partita geopolitica globale. E che ancora dialoga con l’Occidente, seppur fra tensioni varie. In questa situazione Putin ha perso anche il ruolo dei mercenari della Wagner, perlomeno per come lo intendeva il loro leader Evgenij Prigožin. Che dopo aver provato a marciare su Mosca è finito kaputt. L’idea di Prigožin era infatti una Russia coloniale (e non imperiale) in Africa e nelle aree considerate strategiche.

Se poi guardiamo ai rapporti con l’Unione europea e l’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina, vediamo come anche qui l’indebolimento dello zar e del suo Paese sia più che evidente. Le sanzioni occidentali mordono l’economia russa (convertita di fatto in un’economia di guerra). I buoni commerci con la Cina non bastano a colmare questo divario.

A poco meno di tre anni dall’aggressione militare a Kiev, la Russia è in sostanza un Paese appannato nella sua immagine internazionale. Che ha perso prestigio, che ha subìto sconfitte e che non riesce a vincere neppure la sua guerra in Ucraina. Volendo proprio trovare uno spiraglio riguardo alla situazione russa, l’unico barlume di speranza di rilancio cui Putin può aggrapparsi in questo momento (e che si sta avvicinando a ottenere) riguarda una possibile pace con Kiev tramite gli Usa. Ricorderete che poco dopo l’invasione lo stesso zar aveva detto di esser pronto a negoziare, ma non con gli ucraini. Con gli Stati Uniti. Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca questa possibilità è più vicina, anche se il come e a quali condizioni è tutto da scrivere.

Di Massimiliano Lenzi

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