Donald Rumsfeld, segretario di Stato della Difesa americano prima con il presidente Gerald Ford e poi con G. W. Bush, ripeteva spesso che in politica estera «weakness is provocative». La debolezza è provocatoria. Parte anche da qui un’interessante analisi del “New York Times” su cosa voglia veramente Putin oltre la questione Ucraina e su cosa debbano fare gli Stati Uniti, la Nato e l’Occidente. Secondo il “Nyt” l’Ucraina è per il presidente russo una mira secondaria, importante ma secondaria.
Il vero obbiettivo sarebbe infliggere una sconfitta alla Nato e causarne la crisi irreversibile per arrivare – come su “La Ragione” abbiamo evidenziato da tempo – a una nuova Yalta che ridisegni gli equilibri di potere nel mondo, vent’anni dopo la fine dell’Unione Sovietica. Un disegno che mira a ricostruire l’influenza russa negli Stati europei vicini.
E qui arriva il tema della debolezza e dei suoi pericoli. 2008, G. W. Bush presidente Usa, la Russia invade la Georgia. 2013, mediazione russa in Siria, presidente Barack Obama. 2014, sempre Obama presidente, Putin si pappa la Crimea. 2021, Biden alla Casa Bianca, il ritiro Usa e occidentale dall’Afghanistan: un segnale di debolezza. Sull’Ucraina il “Nyt” fa notare che non si può spegnere un incendio in un bosco pisciandoci sopra e che l’ambizione di Putin è anche figlia delle troppe debolezze occidentali di questi anni. Per questo cedere oggi ai russi sull’Ucraina significherebbe mettere definitivamente in crisi la Nato. Rifletterci, prima che sia troppo tardi.
di Jean Valjean


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