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Scacco e piombo

Pensare che la Cina metta a repentaglio il suo ruolo di fabbrica del mondo, rinunciando alla sua idea di potere globale, aiutando il dittatore di Mosca è fantascienza.
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Scacco e piombo

Pensare che la Cina metta a repentaglio il suo ruolo di fabbrica del mondo, rinunciando alla sua idea di potere globale, aiutando il dittatore di Mosca è fantascienza.
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Scacco e piombo

Pensare che la Cina metta a repentaglio il suo ruolo di fabbrica del mondo, rinunciando alla sua idea di potere globale, aiutando il dittatore di Mosca è fantascienza.
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Pensare che la Cina metta a repentaglio il suo ruolo di fabbrica del mondo, rinunciando alla sua idea di potere globale, aiutando il dittatore di Mosca è fantascienza.
L’incontro proposto dagli Stati Uniti d’America alla Cina e tenutosi ieri Roma è un passaggio rilevante, in questi giorni cupi e caratterizzati anche dall’estrema difficoltà di individuare un vero mediatore. Credibile agli occhi del dittatore di Mosca, ma spendibile anche in Occidente. Non scriviamo nulla di nuovo, individuando nella Cina l’interprete naturale di questo ruolo, pur con tutto il rispetto per l’iniziativa israeliana e l’attivismo del premier Bennet. Agli occhi di Putin potrebbero non bastare la buona volontà personale, gli interessi convergenti in Siria, l’attenzione alle comunità russa e ucraina in patria, per non apparire comunque troppo vicino a Washington. Anche perché pensare che Bennet possa muoversi in totale autonomia, rispetto alla Casa Bianca, apparirebbe ingenuo a chiunque. Per essere ancora più chiari, un conto è la sede dei negoziati, altro chi la trattativa dovrà realmente condurla. Israele è Occidente, l’Unione europea è Occidente, l’Occidente è l’obiettivo ultimo dello zar ed è con l’Ucraina senza se e senza ma. L’Occidente non potrà essere equidistante. Si torna così alla Cina, al primo contatto con gli Usa dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina. Teatro del faccia a faccia fra il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e il responsabile degli Affari esteri del Politburo Yang Jeichi, il “Cavalieri Hilton Waldorf Astoria” della Balduina, a Roma. Un palcoscenico di lusso che più ‘Ovest’ non si può, nella capitale di un Paese guidato da uno dei leader più atlantisti su piazza, Mario Draghi. Piccoli segnali per una Pechino sbilanciata e ‘vicina’ a Putin quanto si vuole, ma legata a un numero: 1.600. Sono i miliardi di dollari a cui si arriva sommando l’interscambio commerciale della Cina con gli Usa e con l’Europa. Per essere precisi, 1.570. La Russia, l’amica fraterna, l’alleato fino alla fine dei giorni bla bla bla, ne vale 147. Pensare che possa mettere a repentaglio il suo ruolo di fabbrica del mondo, aiutando il dittatore di Mosca a cancellarle il suo stesso mercato, è fantascienza. Più semplicemente, una cosa ridicola. I cinesi sono tante cose diverse, il loro regime resta un avversario strategico dell’Occidente nello scacchiere asiatico e non solo. Il dragone si percepisce come una superpotenza, ma con un credo materiale e non ideologico, sintetizzabile in business is business. Sull’altare degli affari, la Cina magari si comprerà pezzo per pezzo la Russia e a prezzi di saldo, ma non si giocherà il suo impero economico. C’è un errore strategico che i cinesi non faranno mai, uno dei più gravi fra i tanti commessi da Vladimir Putin: ritenere che essere ricchi di qualcosa da vendere costituisca di per sé una garanzia eterna. L’uomo di Mosca sta cominciando a capire che fra non molto non ci sarà più nessuno a cui vendere, a parte la Cina ai prezzi che vorrà la Cina. Oltre le stesse accuse di ieri agli americani e la propaganda, Xi vuole il nostro mercato più di ogni altra cosa, magari aumentare quei 1.570 miliardi di interscambio, certo non stroncarli. Minacceranno ancora l’Occidente di non esagerare con le sanzioni e ammoniranno a non immischiarsi troppo, ma il mondo cinese resta un’entità profondamente diversa da noi e dal nostro modo di intendere le relazioni. Leggere fra le righe, non interpretare mai alla lettera, immaginare ciò che potrebbe essere immaginato, questo significa trattare con Pechino. Henry Kissinger – tornato improvvisamente di moda e frettolosamente rivestito da oracolo – ci ricorda che i cinesi non giocano a scacchi (in cui i maestri sono i russi) ma a Go. Un altro gioco strategico, ma in cui conta il territorio da controllare e strappare all’avversario, non gli eserciti da sconfiggere. Non c’è un re che capitoli. L’economia globale è una plancia del Go, un immenso territorio da controllare pezzo dopo pezzo. Perdere a questo gigantesco Go geopolitico, solo per aiutare l’‘amico’ Putin e mettendo a rischio i miliardi di dollari dell’Occidente, negherebbe tutto ciò che la Cina è oggi. La sua idea di potere globale. Facciamolo dire a loro stessi, al politologo Hu Wei, ascoltatissimo dal governo di Pechino: «Non ci sono eterni alleati né nemici perpetui. Sono eterni e perpetui solo gli interessi della Cina». di Fulvio Giuliani

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