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Se Medvedev ci vuole morti noi vogliamo la vodka

Dimitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, pensa che “siamo dei bastardi” e che farà di tutto “per farci sparire”. Ecco perché noi, proprio no.
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Se Medvedev ci vuole morti noi vogliamo la vodka

Dimitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, pensa che “siamo dei bastardi” e che farà di tutto “per farci sparire”. Ecco perché noi, proprio no.
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Se Medvedev ci vuole morti noi vogliamo la vodka

Dimitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, pensa che “siamo dei bastardi” e che farà di tutto “per farci sparire”. Ecco perché noi, proprio no.
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Dimitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, pensa che “siamo dei bastardi” e che farà di tutto “per farci sparire”. Ecco perché noi, proprio no.
Zindan. Roba davvero brutta. In ceceno significa “sacco di pietra”, un pozzo di tortura utilizzato dai ribelli ceceni e mutuato poi, con scarsa originalità, dalle truppe della Federazione Russa. Sarebbe in quel pozzo che ci vedrebbe volentieri rinchiusi – almeno noi occidentali amanti delle pur imperfette nostre democrazie – il signor Dimitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex presidente della Federazione russa. Per questo importante dirigente del Cremlino siamo dei «bastardi degenerati e finché sono vivo, farò di tutto per farli sparire». Il signor Dimitry si tranquillizzi: d’istinto (di sopravvivenza, la mia) gli augurerei una fine tra atroci sofferenze, ma siccome non nutro sentimenti di odio auspico per lui solo una dignitosa fine politica. E pensare che gli archivi dei telegiornali conservano significative immagini di quando, dal 2008 al 2012, Dimitry sedeva sulla poltrona che ora è occupata dal suo vate Vladimir Putin e stringeva con calore la mano del presidente degli Stati Uniti Barak Obama, per dare vita a una nuova relazione bilaterale che consentisse una definitiva cesura con la mentalità da Guerra fredda e instaurasse una nuova cooperazione tra Washington e Mosca. In politica, si sa, lo vediamo tutti i giorni, capita di cambiare idea. Ma passare dalla cooperazione all’odio conclamato è davvero un po’ forte. Ad esempio, io non riesco proprio a odiare i russi. Nel 1990, a Budapest, assistetti in un locale off a una rappresentazione teatrale in lingua russa di “Anna Karenina”. L’attrice, russa, era bravissima e pur non capendo una parola, ma conoscendo bene il testo del capolavoro di Tolstoj, ne rimasi affascinato. Come potrei odiare donne e uomini che nelle arti e non solo hanno fatto la storia e segnato la strada di una cultura che ci appartiene? Il signor Dimitry è nato a San Pietroburgo, una delle più belle città del mondo, laddove vengono descritte le famose “notti bianche”. È stato primo ministro della Russia per otto anni, prima ancora presidente della Russia (il suo vate e protettore Putin gli è subentrato nella carica ottenendo così il suo terzo mandato). È un uomo di un’altra generazione, nato sovietico, ma ha costruito la sua carriera politica nella nuova Russia. Perfino la fisiognomica è diversa da un imbalsamato Breznev, da un glaciale Andropov, da un pacioso Gorbaciov. Nella suddivisione del potere nella Grande Madre Russia lui ha un gruppo che si chiama “Famiglia” e controlla molteplici affari, alcuni non proprio trasparenti. Saremmo «bastardi e imbranati» e lui ci vuol «far sparire». La vedo dura, ma speriamo che siano i cittadini russi a farlo sparire. Politicamente s’intende. Il tempo in cui Dimitry voleva consentire l’uso dello spazio aereo russo all’esercito americano per trasportare truppe in Afghanistan è davvero finito. Non vorrei, però, che fosse finita anche la vodka.   di Andrea Pamparana

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