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Seul protesta a suon di K-pop

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Decine di migliaia di giovani stanno scendendo in piazza a Seul contro il presidente Yoon Suk-yeol, facendo proprio il linguaggio e i simboli del K-pop

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Seul protesta a suon di K-pop

Decine di migliaia di giovani stanno scendendo in piazza a Seul contro il presidente Yoon Suk-yeol, facendo proprio il linguaggio e i simboli del K-pop

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Seul protesta a suon di K-pop

Decine di migliaia di giovani stanno scendendo in piazza a Seul contro il presidente Yoon Suk-yeol, facendo proprio il linguaggio e i simboli del K-pop

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Manifestare dissenso politico al ritmo degli ultimi successi delle proprie boy (e girl) band preferite. Quello che in Occidente poteva apparire un paradosso ai tempi di Backstreet Boys, Spice Girls e Take That, oggi è diventato realtà in Corea del Sud. In occasione delle proteste contro il governo del presidente Yoon Suk-yeol, decine di migliaia di giovani stanno scendendo in piazza a Seul. Facendo proprio il linguaggio e i simboli del K-pop, il genere musicale che negli ultimi anni il Paese sta esportando in tutto il mondo. Un mix di sonorità ritmate, incalzanti e di testi leggeri che nulla hanno a che fare con la politica.

Tanto più che in Corea del Sud, spiegano gli esperti, gli artisti che si schierano politicamente finiscono per essere disapprovati dall’opinione pubblica. Eppure fuori dall’Assemblea Nazionale si protesta cantando «Impeach, impeach, impeach Yoon Suk-yeol» al ritmo dell’ultimo brano techno della girl band Aespa, “Whiplash”. Con tanto di bastoncini luminosi e piccole coreografie che hanno fatto il giro del mondo tramite i social network. Un linguaggio semplice e scanzonato, che in prima battuta farà sorridere coloro che associano musica e impegno sociale ad artisti come Bob Dylan, Joan Baez e a tutto mondo del Greenwich Village newyorkese degli anni Sessanta.

Il tedesco Émile Durkheim, uno dei padri della sociologia, definiva «effervescenza collettiva» il senso di euforia e di energia che si manifesta durante i riti e che porta una società a rinsaldare i propri valori identitari attraverso pratiche e simboli ben codificati. Per i manifestanti coreani il K-pop sembra essere proprio questo. Un simbolo condiviso dalle persone comuni in contrapposizione alla classe politica del presidente Yoon Suk-yeol, emblema al contrario di corruzione e autoritarismo. Il paragone con il Sessantotto occidentale, inoltre, non appare così azzardato se si considera che la Corea del Sud ha un passato democratico piuttosto recente e travagliato, che negli anni Ottanta ha visto affermarsi la dittatura di Chun Doo-hwan.

Molti esperti sottolineano poi la componente emancipatrice di questa protesta. Stephanie Choi, ricercatrice presso l’Università statale di New York a Buffalo, ricorda che «il K-pop è uno spazio a predominanza femminile. Le richieste femministe hanno plasmato l’estetica e le performance del K-pop». Un fattore da non sottovalutare, considerando che il tanto criticato presidente Yoon aveva promesso di abolire il Ministero dell’Uguaglianza di genere. Non per ultimo, una protesta in salsa pop come questa ha il merito di apparire più accessibile rispetto ai tradizionali cortei infarciti di violenza e disordini. Sfortunatamente, non tutti i giovani in piazza a Seul sembrano condividere un risveglio della coscienza politica. «Date a noi nerd la libertà di preoccuparci solo di cose nerd» recitava uno striscione-meme fra i più vistosi. Non certo un inno all’impegno sociale…

Di Alessandro Salgarelli

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