Smascherato: Putin e il destino del dittatore
Putin e il destino del dittatore. I destini di un dittatore seguono quasi sempre una parabola ben riconoscibile. La fine, solitamente, è questa: i dittatori muoiono soli
| Esteri
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Putin e il destino del dittatore. I destini di un dittatore seguono quasi sempre una parabola ben riconoscibile. La fine, solitamente, è questa: i dittatori muoiono soli
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Putin e il destino del dittatore. I destini di un dittatore seguono quasi sempre una parabola ben riconoscibile. La fine, solitamente, è questa: i dittatori muoiono soli
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Putin e il destino del dittatore. I destini di un dittatore seguono quasi sempre una parabola ben riconoscibile. La fine, solitamente, è questa: i dittatori muoiono soli
Da ieri tutti a scrivere: «Lo avevo detto». Che l’ex ‘chef’ del dittatore di Mosca, il capo della Wagner Prigozhin avrebbe fatto una pessima fine. Che era solo questione di tempo e Vladimir Putin avrebbe infine consumato la sua vendetta. Tanti a fare anche della macabra ironia su quell’aereo abbattuto, qualcuno persino a darsi di gomito perché l’omicidio politico confermerebbe la ritrovata forza (o la forza mai appassita) dell’uomo al quale continuano a riservare simpatie neppure troppo nascoste. «Visto che fine si fa – sembrano dire – a sfidare lo zar?».
Un’analisi tanto ributtante quanto superficiale: la storia delle dittature consiglierebbe di guardare con occhio un po’ più disincantato quanto sta accadendo alla Russia di Putin. Un avvitarsi su se stessa, una discesa agli inferi della violenza e della cancellazione di ogni diritto fondamentale sempre più ripida e veloce. Come mille altre volte prima dell’‘uomo forte’ oggi di casa al Cremlino. I destini di un dittatore seguono quasi sempre una parabola ben riconoscibile: la presa del potere, l’ascesa, un notevole grado di popolarità, non di rado l’era del consenso. Poi, la necessità di conservare quel potere stringendo sempre più le maglie della forza che si fa violenza. L’omicidio politico come prassi, diventata la lugubre normalità di una Russia che si voleva moderna e aperta al mondo. Un potere che avvelena, provoca misteriosi incidenti, fa precipitare dalle finestre o abbatte aerei. Capace di mantenere sempre un alone di mistero – vale ovviamente anche nel caso del capo della Wagner – ma che con il passare del tempo riduce sempre più la distanza dal delitto. Il dittatore, del resto, ha bisogno di rendere via via più esplicito il terrore che incute, più forte la paura a cui inchioda il potere.
È la condanna definitiva: solo questione di tempo, poi qualcuno più violento, efferato e persino con meno scrupoli di lui deciderà che sarà giunta l’ora di eliminarlo. Quante volte è già accaduto? Lo stesso idolo di Putin, il raccapricciante dittatore di tutte le repubbliche sovietiche Josif Stalin, ebbe probabilmente il tempo di vedere gli uomini più vicini a lui ballare intorno al suo corpo morente, avviando una sconcia corsa alla successione. Prigozhin non ha avuto quella forza, anche se dovremo ancora capire fino in fondo cosa sia realmente accaduto nelle quarantott’ore del suo quasi-golpe.
Questo, però, non significa che Putin sia più saldo di due giorni fa. È sceso di un altro girone lungo il personale percorso del dittatore. Quando cadrà? Non lo sa nessuno, come quasi sempre nessuno ha saputo cogliere il momento dell’implosione delle dittature. Persino il crollo del Muro di Berlino non sorprese solo i vertici sovietici ancora incapaci di metabolizzare il collasso dell’Urss. In Occidente per alcuni, lunghissimi giorni quasi non si credette ai propri occhi. Ci si era così assuefatti alle balle comuniste che in molti ormai ci credevano, più di qua che di là. Accade anche oggi, per certi aspetti. Tale è spesso la forza apparente della dittatura, il sottile pensiero che le minacce e la violenza siano più forti di tutto.
Solo che non è così, le maschere crollano, i poteri impastati di terrore si sgretolano e i tifosi di ieri corrono dietro al carro del nuovo vincitore. Anche questo lo abbiamo visto: i dittatori muoiono soli.
di Fulvio Giuliani
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