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Socialismo in crisi

Il sindaco di Parigi accusa i tempi e i modi della campagna elettorale, ma la crisi della sinistra socialista francese parte da lontano e oggi paga le conseguenze degli errori di questi ultimi cinque anni.
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Socialismo in crisi

Il sindaco di Parigi accusa i tempi e i modi della campagna elettorale, ma la crisi della sinistra socialista francese parte da lontano e oggi paga le conseguenze degli errori di questi ultimi cinque anni.
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Socialismo in crisi

Il sindaco di Parigi accusa i tempi e i modi della campagna elettorale, ma la crisi della sinistra socialista francese parte da lontano e oggi paga le conseguenze degli errori di questi ultimi cinque anni.
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Il sindaco di Parigi accusa i tempi e i modi della campagna elettorale, ma la crisi della sinistra socialista francese parte da lontano e oggi paga le conseguenze degli errori di questi ultimi cinque anni.

«Ricostruire il Partito socialista in vista delle elezioni legislative». Anne Hidalgo pensa al futuro per ignorare il risultato delle presidenziali che sin dal principio hanno visto la sinistra esclusa dalla competizione con il presidente uscente. Il voto ha marginalizzato i socialisti – ancorati a un demoralizzante 1,74% – segnando di fatto la peggior sconfitta del partito dalla fine della presidenza Hollande. Il sindaco di Parigi accusa i tempi e i modi della campagna elettorale, caratterizzata dalla fretta e dalla disorganizzazione, ma la crisi della sinistra socialista francese parte da lontano e oggi paga le conseguenze degli errori di questi ultimi cinque anni.

Il governo di François Hollande è stato il punto di rottura tra la vecchia formazione gauchiste e il suo elettorato. Complici le bassissime percentuali di gradimento e lo scandalo extraconiugale che lo vide coinvolto, Hollande è stato il primo capo di Stato francese a scegliere di non ricandidarsi per un secondo mandato. Una scelta che ha portato il Partito socialista allo sbando. Nel pieno della confusione si è ritrovato schiacciato da due figure agli antipodi: Emmanuel Macron e Jean-Luc Mélenchon. Il leader di En Marche! vinse le elezioni presentandosi come un outsider alternativo al lepenismo e ai vecchi partiti della Repubblica. La formula si rivelò vincente grazie al contributo del voto progressista che, orfano di un partito forte, decise di convergere sul candidato che più si avvicinasse alla proposta politica di riferimento. Contemporaneamente, l’area subiva lo stesso problema che in quegli anni avrebbe travolto i rivali conservatori: l’ascesa del sovranismo e dei temi a esso legati che di lì a poco avrebbero mutato definitivamente il dibattito politico.

La France Insoumise, piattaforma della sinistra radicale, è ancora oggi il principale avversario interno dei socialisti. La fortuna di Mélenchon – che gli elettori hanno premiato con un notevole 21,95% – è stata quella di intraprendere a sinistra un discorso simile a quello fatto dall’altra parte da Le Pen, sottraendo terreno al centrosinistra sul piano delle rivendicazioni sociali e sulla presenza di piazza. Un socialismo vecchio stampo che ha trovato forza negli errori del Ps. Tuttavia, le posizioni di Mélenchon – dall’euro al rapporto con l’Alleanza Atlantica – restano troppo divisive per assicurarsi l’egemonia della gauche che oggi si ritrova schiacciata dalle lotte intestine e una proposta politica debole. Le legislative saranno un banco di prova, ma la stessa Hidalgo sembra meno speranzosa di quanto voglia far credere.

  di Antonio Pellegrino

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