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Soldati nordcoreani in Ucraina: la prova definitiva che Putin sta perdendo la guerra

Sarebbero 12 mila i soldati che Pyongyang starebbe per schierare con i russi. Carne da cannone per la prima linea, o forse con compiti di occupazione delle regioni conquistate

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Soldati nordcoreani in Ucraina: la prova definitiva che Putin sta perdendo la guerra

Sarebbero 12 mila i soldati che Pyongyang starebbe per schierare con i russi. Carne da cannone per la prima linea, o forse con compiti di occupazione delle regioni conquistate

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Soldati nordcoreani in Ucraina: la prova definitiva che Putin sta perdendo la guerra

Sarebbero 12 mila i soldati che Pyongyang starebbe per schierare con i russi. Carne da cannone per la prima linea, o forse con compiti di occupazione delle regioni conquistate

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Sarebbero 12 mila i soldati che Pyongyang starebbe per schierare con i russi. Carne da cannone per la prima linea, o forse con compiti di occupazione delle regioni conquistate

L’annuncio della partenza di truppe nordcoreane per il fronte in Ucraina dimostra, a chi ancora avesse dei dubbi, la disperazione di Putin nel mandare avanti questa guerra. Non bastano infatti le centinaia di migliaia di soldati e veicoli russi: adesso Mosca deve pescare nuova carne da cannone fuori dei propri confini, l’unico luogo dove ancora esistono bacini numerosi e intoccati di uomini in età militare.

Sarebbero 12 mila i soldati che Pyongyang starebbe per schierare con i russi, secondo quanto riferito da fonti di intelligence di Seul, e in precedenza ventilato dal presidente ucraino Zelensky. Non è la prima volta che si parla di un diretto coinvolgimento del regime di Kim Jong-un nel conflitto in Europa dell’Est. Circa 1.500 militari sarebbero già a Vladivostok, principale città russa sul Pacifico, per trasferirsi in treno nella zona di operazioni. Da alcune settimane circolano voci su una presenza già operativa, soprattutto in unità di seconda linea e tecniche. Lo scorso 6 ottobre almeno sei militari nordcoreani sono stati uccisi in un raid nella regione di Donetsk, e almeno un’altra dozzina è rimasta ferita. Si trattava di genieri, incaricati di supportare le forze del Cremlino nella preparazione delle fortificazioni campali. Tecnica quanto mai arcaica, eppure così necessaria in questa guerra che, soprattutto in inverno, si trasforma in uno stillicidio che ricorda da vicino il primo conflitto mondiale.

Ora si sposteranno in 12 mila, grossomodo la dimensione di una divisione. Si tratta di numeri molto grandi, non più relegabili a ruoli di supporto. Se le informazioni di intelligence sono vere, significa che, di qui a qualche settimana, l’esercito nordcoreano inizierà a sparare in Ucraina, affiancando unità russe. Oppure potrebbe essere collocato in posizioni di seconda linea, nelle città delle regioni occupate, con compiti di presidio, permettendo al Cremlino di rischierare quante più truppe nazionali possibili n prima linea. È la prima volta, dalla sanguinosa guerra degli anni Cinquanta, che la Corea del Nord si trova coinvolta in un conflitto aperto. La partecipazione è molto importante. Sul fronte interno, Kim Jong-un ha solo da guadagnare: la propaganda potrà parlare finalmente di un impiego delle “gloriose forze armate” contro i tiranni occidentali. In cambio, Mosca fornirà certamente tecnologie avanzate, necessarie per ammodernare le ormai antiquate tattiche e dotazioni nell’esercito nordcoreano (rimasto sostanzialmente fermo agli anni Sessanta, nonostante diversi tentativi negli ultimi decenni, tra contrabbando e accordi sottobanco con Mosca e Pechino, di progredire nel nuovo millennio). Infine ci guadagneranno anche i soldati, abituati al rigore nelle caserme nazionali, dove il cibo è poco e di scarsa qualità.

Ma l’invio nordcoreano è importante soprattutto sul fronte russo. Chiedendo aiuto a Pyongyang, Putin sta dicendo al mondo che la Russia non ha più risorse. Sta dicendo al mondo che non ci sono più uomini arruolabili per il fronte; che la qualità richiesta dal Cremlino alle unità schierate non è più quella di prima; che la nuova strategia si basa ora più che mai sui numeri e sulla forza bruta. Sta dicendo al mondo che l’unico metodo rimasto per provare a vincere questo conflitto è affidarsi a uno degli eserciti peggio addestrati ed equipaggiati del pianeta. Un esercito che per fingersi moderno appiccica pannelli di metallo su carri armati vecchi di settant’anni, per dargli forme contemporanee. Che va ancora in battaglia con motivi di un rosso sgargiante sulle uniformi, come forse usava solo fino agli anni Cinquanta. E che impiega armi e munizioni di una qualità talmente bassa che quasi un colpo su tre esplode prima di lasciare la canna. Affidarsi a loro significa essere disperati.

Il grande rischio è che così arrivino nuove forze al fronte, anche se del tutto impreparate e probabilmente e poco disposte a combattere. Ma soprattutto torna a preoccupare lo scenario del Pacifico, già infiammato dalle provocazioni cinesi intorno a Taiwan. Da giorni la Corea del Nord sta comunicando a tutto il mondo che i processi di pace con il vicino meridionale sono da considerarsi cancellati. C’è una nuova strategia, quella della tensione. Il timore è che, rafforzato da una appoggio più incondizionato da parte di Mosca e da nuove tecnologie che potrebbero arrivare, Kim Jong-un decida di far deflagrare una polveriera già rovente: la penisola coreana. Il nuovo fronte, che andrà osservato con rinnovata attenzione da oggi in poi.

Di Umberto Cascone

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