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Spallata russa, scandalo a Kiev e piccolezze italiche

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La Russia tenta di dare una spallata più politica che militare all’Ucraina, a Kiev si scatena una tempesta politico-giudiziaria e in Italia c’è una sconcertante polemica fra Salvini e Crosetto

Spallata russa, scandalo a Kiev e piccolezze italiche

La Russia tenta di dare una spallata più politica che militare all’Ucraina, a Kiev si scatena una tempesta politico-giudiziaria e in Italia c’è una sconcertante polemica fra Salvini e Crosetto

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Spallata russa, scandalo a Kiev e piccolezze italiche

La Russia tenta di dare una spallata più politica che militare all’Ucraina, a Kiev si scatena una tempesta politico-giudiziaria e in Italia c’è una sconcertante polemica fra Salvini e Crosetto

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Il tentativo russo di dare una spallata più politica che militare all’Ucraina è evidente. La pressione accresciuta negli ultimi giorni nel Donbas, l’assedio costi quel che costi alla città-cerniera di Pokrovsk e l’offensiva aerea scatenata contro la stessa capitale Kiev hanno motivazioni che vanno ben oltre i possibili risultati militari.

Le conquiste in termini di chilometri sul terreno restano risibili, inaccettabili sul piano militare rispetto ai costi in vite umane e materiali sopportate dall’armata dello zar.

Si può andare avanti in questo modo per un solo motivo: perché Putin può attingere a riserve umane quasi infinite e nell’assoluta accondiscendenza di un’opinione pubblica inesistente e trattata con furbizia.

Fino a quando chi sta bene o relativamente bene a Mosca e San Pietroburgo potrà far finta che non ci sia una guerra in Ucraina e che non muoiano decine di migliaia di russi si potrà continuare a raccontare un mondo che non c’è.

Gli ucraini sono diventati dei piccoli-grandi geni della guerra “fai da te” e fantasiosa ma non si può cancellare la realtà all’infinito: quando i rapporti sul terreno sono 1 a 10 o anche peggio, quando i russi possono far decollare sciami di droni e gettare nella mischia missili in numero incommensurabilmente maggiore, quello che rischia di andare in crisi è la volontà.

Volontà che è strettamente legata alla ferrea convinzione di potercela fare, di poter resistere sempre e comunque ai russi, quale sia il numero di battaglioni mandati al massacro sul campo dal nemico o il dolore cinicamente inflitto ai civili in tre anni e nove mesi di assalti sistematici alle infrastrutture per costringerli a vivere, oltre che nel terrore, al freddo e al buio.

In un quadro del genere, tutto sarebbe dovuto accadere tranne la tempesta politico-giudiziaria che si è scatenata a Kiev. Le pesanti accuse di corruzione che hanno investito i ministri della Giustizia e dell’Energia del governo di Volodymyr Zelensky – costringendoli alle dimissioni – e addirittura uno dei collaboratori più stretti da anni del presidente, Timur Mindich, sono acido.

Mindich è scappato e l’indagine avrebbe appurato 86 milioni di euro di tangenti.

Gli ucraini vedono morire i propri figli al fronte e non possono accettare disgustose fotografie di water o bidet in oro massiccio e mazzette di banconote da 200 euro – sia mai che la corruzione si facesse in grivne, la valuta ucraina – perché questo è oltre il tradimento. Suona come il più volgare e insostenibile dei modi di arricchirsi, mentre il Paese lotta per la sopravvivenza e la libertà.

Se qualcuno avesse avuto dei dubbi sui danni, sarebbe bastato seguire la sconcertante polemica di ieri nel governo italiano: Salvini cavalca la corruzione per chiedere di non inviare armi all’Ucraina, il ministro della Difesa Crosetto si infuria e a Mosca se la ridono.

di Fulvio Giuliani

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