La falsa pace di Putin
Nel cercare la pace, Putin si rende conto della condizione in cui si trova, ma vede i propri punti di forza. Che sono i nostri di debolezza
La falsa pace di Putin
Nel cercare la pace, Putin si rende conto della condizione in cui si trova, ma vede i propri punti di forza. Che sono i nostri di debolezza
La falsa pace di Putin
Nel cercare la pace, Putin si rende conto della condizione in cui si trova, ma vede i propri punti di forza. Che sono i nostri di debolezza
Nel cercare la pace, Putin si rende conto della condizione in cui si trova, ma vede i propri punti di forza. Che sono i nostri di debolezza
Non colpiscono le parole di Putin. Che volete che dica uno che ha scatenato una guerra per prendersi in pochi giorni l’Ucraina, in nome dell’impero russo, e che tre anni dopo è lì a produrre morti e miserie? Avendo declassato la Russia a colonia cinese ed elemosinatrice di carne da cannone nordcoreana. Che volete che dica un guerrafondaio che commosse quei deboli di cultura e di morale che videro in lui l’inarrestabile conquistatore e ricostruttore della cristianità? E che sono ancora lì a difenderne la bestemmia della morte natalizia e a piagnucolare perché il nemico non s’arrende. Non colpiscono le parole di Putin, colpisce il modo in cui vengono riportate in troppa parte della comunicazione occidentale.
Putin è un criminale, ma non è pazzo. Si rende conto della condizione in cui si trova, ma vede anche i propri punti di forza. Che sono i nostri di debolezza. Se dice di volere una pace totale e di essere pronto a negoziarla in Slovacchia, ma di opporsi a ogni congelamento del conflitto, non è che ci voglia particolare acume per comprendere quel che ha appena detto: la guerra continua. Il congelamento è un’ipotesi che le democrazie occidentali hanno preso in considerazione fin dall’inizio, in ragione di due fatti.
Primo: non è ammissibile ed è pericolosissimo darla vinta a chi aggredisce, scatenando una guerra e negando la sicurezza e legittimità dei confini nazionali. Secondo: non è credibile che la guerra si concluda con il criminale che l’ha aperta disposto a rinunciare a ogni pretesa. Il congelamento può essere una decantazione. Se lo si nega, come Putin ha fatto, si afferma che continueranno a parlare le armi. Il che comporta che noi continueremo a fornirle all’Ucraina.
Putin comprende la pavidità di tanti cresciuti in ricchezza e sicurezza. Misura la friabilità delle loro conoscenze e convinzioni democratiche, sicché dice anche dell’altro: sarei pronto a trattare, ma non posso farlo con un presidente ucraino oramai scaduto perché non sarebbe legittimo. Quindi sono pronto a trattare con il presidente americano appena eletto. Un dittatore che impartisce lezioni di legittimità democratica è un sollazzo: l’Ucraina è stata aggredita e dovrebbe votare, mentre l’aggressore manco si sogna di far votare liberamente i propri cittadini. Bisogna essere marci nell’anima per potergli andare appresso.
Eppure quella è una cosa che si può supporre sia concedibile: trattare con gli Usa. Ma ciò, che per il dittatore è il riconoscimento del proprio status globale, non è per niente detto gli porti fortuna. Concedergli l’appropriazione di sanguinanti lacerti d’Ucraina non sarebbe una prova di nazionalismo egoista, ma di isolazionismo suicida. Il quale isolazionismo è l’opposto del volere gli Usa potenti come una volta (si suppone sia quella successiva al secondo conflitto mondiale).
Alla Conferenza di Monaco (1938) si poteva anche supporre che gli inglesi di Chamberlain e i francesi di Daladier (Mussolini stava con Hitler, a imperitura vergogna italiana) non sapessero di essere in quella Monaco e non pensassero che cedere i Sudeti sarebbe stato così terribile. Si può supporlo, ma non è vero: Chamberlain aveva bisogno di tempo, Churchill vide benissimo quel che sarebbe successo. E Daladier si vergognò dell’accordo nel mentre lo stipulava. Si può, però, supporre che non ne immaginarono le conseguenze. Oggi noi tutti sapremmo di essere a Monaco, anche se ci trovassimo a Bratislava ospiti di Fico. Noi il sequel di Monaco l’abbiamo già girato con la blanda reazione al colpo di mano russo in Crimea. Al lavoro di infiltrazione destabilizzatrice che va dalla Georgia alla Romania, a Roma, Parigi, Berlino e Londra.
Quello è il nostro punto di debolezza e quello che Putin il pacifalso ha di forza: la riluttanza a raccontare all’opinione pubblica la realtà, il far credere che una pace a ogni costo sia una pace senza costo. Non siamo all’Opera dei Pupi governanti, la responsabilità ci coinvolge tutti. E chi ama il diritto che governa la pace ha il dovere di ricordarlo.
Di Davide Giacalone
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