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Non tutti amano gli Stati Uniti

Dall’attacco alle Torri gemelle in poi, il prestigio degli Stati Uniti è andato sempre scemando. Alcune ragioni di questa parabola sono più che evidenti e lo sono da tempo
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Non tutti amano gli Stati Uniti

Dall’attacco alle Torri gemelle in poi, il prestigio degli Stati Uniti è andato sempre scemando. Alcune ragioni di questa parabola sono più che evidenti e lo sono da tempo
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Non tutti amano gli Stati Uniti

Dall’attacco alle Torri gemelle in poi, il prestigio degli Stati Uniti è andato sempre scemando. Alcune ragioni di questa parabola sono più che evidenti e lo sono da tempo
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Dall’attacco alle Torri gemelle in poi, il prestigio degli Stati Uniti è andato sempre scemando. Alcune ragioni di questa parabola sono più che evidenti e lo sono da tempo

Non tutti amano gli Stati Uniti d’America, fin qui il Paese più potente del mondo. L’antiamericanismo è una costante della nostra storia, dai tempi di Mussolini agli anni della Guerra fredda fino all’anticapitalismo della contestazione studentesca. Ne fece una spietata analisi oltre una ventina di anni fa Massimo Teodori, in un libro – “Maledetti americani” (Mondadori, 2002) – in cui descriveva il pregiudizio antiamericano che accomunava destra, sinistra e mondo cattolico.

A dispetto di ciò, è sempre esistita in Italia anche una componente del pensiero politico (ma anche del mondo della cultura e dei media) che agli Stati Uniti guarda come a un modello di società, di cultura, di democrazia. Lo stesso Massimo Teodori l’anno dopo “Maledetti americani” pubblicava “Benedetti americani”, una sorta di ricostruzione delle buone ragioni per stare dalla parte dell’America nonché per ispirarci alle sue istituzioni. Da allora sono passati poco più di vent’anni, ma sembrano secoli. Dall’attacco alle Torri gemelle in poi, il prestigio dell’America è andato sempre scemando. Alcune ragioni di questa parabola sono più che evidenti e lo sono da tempo: guerre sbagliate, guerre perdute, interventi militari inefficaci o controproducenti. Altre ragioni sono però meno visibili o meno remote nel tempo.

Ve n’è una, puramente politica, che sta assumendo solo in questi ultimi giorni piena evidenza. Se nulla cambierà, la sfida elettorale per la presidenza avverrà fra due personaggi entrambi impresentabili, anche se per ragioni del tutto diverse. Da un lato Donald Trump, praticamente accusato di aver ispirato un fallito colpo di Stato oltre che di reati gravissimi come evasione fiscale e violenza sessuale o di aver comprato il silenzio di una pornostar; per non parlare dell’uscita di qualche giorno fa, con l’incoraggiamento a Putin ad attaccare i Paesi Nato che non spendono abbastanza in armamenti. Dall’altra l’82enne Joe Biden, di cui si può pensare quel che si vuole sul piano politico ma di cui stanno diventando evidenti le défaillance sul piano mentale oltreché motorio. Se fossi cittadino statunitense, non saprei davvero a che santo votarmi.

Ma non è tutto qui. Il punto è che a dare chiari segni di disfacimento è la società americana in quanto tale, non soltanto il suo sistema politico. Fino a qualche anno fa erano solo i sociologi e gli psicologi sociali a lanciare l’allarme. È del 2001 “Bowling Alone” (Giocare a bowling da soli) di Robert Putnam, una sconsolata analisi del dissolvimento dei legami comunitari negli Stati Uniti. Ed è di pochi anni dopo “A Nation of Whimps” (Una nazione di schiappe) della psicologa sociale Hara Estroff Marano, uno spietato resoconto dei danni mentali prodotti da una generazione di genitori invadenti e iperprotettivi. Ora non sono più soltanto loro. Ora a parlare è una impressionate massa di dati statistici che documentano lo sfaldamento della società americana e specialmente della sua gioventù. Ne cito solo alcuni, giusto per dare un’idea.

Le morti per overdose nel 2021 (ultimo dato disponibile) hanno superato la cifra record di 100mila all’anno, di cui un terzo dovute al micidiale Fentanyl (da poco sbarcato anche in Italia). Tenuto conto della popolazione, che negli Stati uniti è 5,5 volte quella italiana, è come se noi avessimo 20mila morti per overdose all’anno, mentre in realtà ne abbiamo circa 300. Come dire: negli Usa il rischio di morire per overdose è circa 65 volte più alto che in Italia.

Fra i giovani, ormai da cinque anni la prima causa di morte non sono più gli incidenti stradali ma le sparatorie (una parte autoinflitte). E, sempre fra i giovani, da circa 15 anni sono in vertiginoso aumento i disturbi da ansia, depressione, autolesionismo e (specie fra le ragazze) i disturbi dell’alimentazione. Quanto ai suicidi, la relativa curva si è impennata intorno al 2010 e – di nuovo – è particolarmente ripida nel caso delle ragazze. Tutti gli indizi, raccolti da Jonathan Haidt e Zach Rausch, convergono su una causa scatenante fondamentale: l’uso massiccio e sconsiderato dei social. Nella popolazione generale gli obesi sono poi circa 1 su 3. Infine, incredibilmente, l’aspettativa di vita è scesa a 76 anni, ossia al livello di 25-30 anni fa e non soltanto per colpa del Covid.

Che dire? Almeno questo: pensiamoci. Perché alcuni dei processi che stanno minando la coesione e la salute della società americana sono in atto anche da noi, primo fra tutti la dipendenza dai social e, negli ultimissimi tempi, anche l’abuso di Fentanyl. Due guai verso cui – fortunatamente – esiste un semplice rimedio: l’astensione totale.

di Luca Ricolfi

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