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Sinwar

The Day After: i prossimi piani di Netanyahu

Dentice (Ce.S.I.): “Proseguirà per dare una nuova forma al Medio Oriente, sfruttando il momento di empasse Usa per le elezioni e l’ambiguità di alcuni attori arabi”

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The Day After: i prossimi piani di Netanyahu

Dentice (Ce.S.I.): “Proseguirà per dare una nuova forma al Medio Oriente, sfruttando il momento di empasse Usa per le elezioni e l’ambiguità di alcuni attori arabi”

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The Day After: i prossimi piani di Netanyahu

Dentice (Ce.S.I.): “Proseguirà per dare una nuova forma al Medio Oriente, sfruttando il momento di empasse Usa per le elezioni e l’ambiguità di alcuni attori arabi”

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Dentice (Ce.S.I.): “Proseguirà per dare una nuova forma al Medio Oriente, sfruttando il momento di empasse Usa per le elezioni e l’ambiguità di alcuni attori arabi”

Il giorno dopo l’uccisione del leader di Hamas, Yahya Sinwar, Israele non si ferma. E non si fermerà ancora, come dimostrano le operazioni sul campo, in Libano, nella valle della Beqà al confine con la Siria, ma anche nei pressi della frontiera giordana e a Gaza. Le parole del premier Benjamin Netanyahu hanno confermato le intenzioni di Tel Aviv: “Abbiamo messo fine al conto aperto nei confronti di Siwar, ma la battaglia non è terminata. Noi continueremo con tutte le forze finché gli ostaggi rimasti non saranno riportati a casa. Questa è una promessa”.

“La morte di Sinwar, come prima quella del leader di Hezbollah Nasrallah, incidono poco nell’economia del conflitto in corso”, commenta Giuseppe Dentice, responsabile del desk Middle East-North Africa (MeNA) del Centro di Studi internazionali Ce.S.I. “Era accaduto in passato anche con al Qaeda: eliminando il leader non si cancella la minaccia, che casomai persiste a un livello più basso e paradossalmente meno controllabile. Specie per Hamas, il successore di Sinwar non sarà più tenero di lui, anzi è immaginabile che le nuove generazioni di terroristi siano più radicali, estremiste e aggressive con Israele, così come nella contrapposizione interna al mondo palestinese – spiega l’analista – Quello che invece ha ottenuto Netanyahu è sicuramente un risultato simbolico e politicamente vantaggioso”.

Il premier israeliano “ne esce rafforzato e ripulisce la sua immagine di Mr Sicurezza, come era soprannominato, che era stata danneggiata dopo l’attacco del 7 ottobre a Israele”, sottolinea Dentice. “L’eliminazione di Sinwar, come di Nasrallah e Hanyieh è un elemento tattico importante che rafforza il peso politico e la capacità e aggressività stessa di Israele, che oggi è un attore in grado di incutere timore nell’area. Ora l’ago della bilancia pende in favore in Israele”, osserva l’esperto.

Se lo scontro prosegue, continuano anche i tentativi di diplomatici di fermare l’azione israeliana, soprattutto a Gaza: “Le azioni delle forze di Tel Aviv sono ancora percepite come eccessivamente aggressive, sia per l’opinione pubblica occidentale che per quella araba, che pure mantiene una posizione ambigua e neutrale – chiarisce Dentice – Nel mondo arabo si ha l’idea che l’Occidente parli, invochi un cessate il fuoco, ma di fatto sia al fianco di Israele. Di fatto nessuno è in grado o vuole esercitare pressioni su Tel Aviv: le posizioni europee sono marginali, gli Usa sono alla vigilia del voto delle presidenziali e gli stessi Paesi arabi non hanno manifestato “scontentezza” per l’indebolimento dell’Iran e dei suoi proxy. Questi elementi giocano a favore di Israele, che ora mira esplicitamente a dare una nuova forma al Medio Oriente in cui Israele stessa sia centrale, magari in associazione con alcuni paesi arabi”.

Il nodo, però, rimane la questione palestinese: “Finché non si risolverà, l’Arabia Saudita ha confermato nei giorni che non firmerà i Patti di Abramo. Riad vuole avere un’influenza speculare a quella di Israele per contenerne le aspirazioni, non vogliono percepirsi e passare come minor partner, e lo farà pesare anche una volta eletto il nuovo presidente degli Stati Uniti”, conclude Dentice.

Di Eleonora Lorusso

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