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Trump è l’arma (poco) segreta di Carney e dell’orgoglio canadese

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Nulla come quanto accaduto in Canada può dare una dimensione degli effetti paradossali delle politiche di Donald Trump

Trump è l’arma (poco) segreta di Carney e dell’orgoglio canadese

Nulla come quanto accaduto in Canada può dare una dimensione degli effetti paradossali delle politiche di Donald Trump

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Trump è l’arma (poco) segreta di Carney e dell’orgoglio canadese

Nulla come quanto accaduto in Canada può dare una dimensione degli effetti paradossali delle politiche di Donald Trump

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Nulla come quanto accaduto in Canada può dare una dimensione degli effetti paradossali delle politiche di Donald Trump.

Ancora a gennaio, nei giorni dell’inaugurazione del secondo mandato di The Donald, il Partito liberale in Canada era spacciato. Dietro di 20 punti dai conservatori, considerati i vincitori inevitabili delle elezioni politiche programmate nel 2025.
Il primo ministro uscente Justin Trudeau era ormai logorato da un’ultima fase del suo lungo mandato a capo del governo non particolarmente brillante.

Poi è arrivato lui: Donald Trump ha cominciato a chiamarlo con disprezzo “governatore“ e a invocare l’annessione del Canada agli Stati Uniti come 51º Stato. La soluzione, a suo dire, a ogni problema dei canadesi e soprattutto come forma di risarcimento per la marea di quattrini con cui gli Usa avrebbero storicamente sostenuto e finanziato il vicino.

Una palla colossale che ha per qualche giorno lasciato di stucco i canadesi, ma poi generato una fortissima reazione basata su un pacato ma fermo sentimento di amor proprio, per il proprio Paese, la propria storia e la propria bandiera.
Il segno inequivocabile che qualcosa stava cambiando in modo radicale furono i sonori fischi e “Buuu“ riservati all’inno nazionale statunitense in una partita di hockey, sport nazionale canadese. Qualcosa di inconcepibile sino a poche settimane prima, seguito da una massiccia e in buona misura spontanea campagna di boicottaggio dei prodotti a stelle e strisce.

Justin Trudeau, ancora una volta grazie alla politica greve di Donald Trump, ha ritrovato lo smalto. E ha saputo toccare le corde giuste in una serie di discorsi di altissimo profilo. Sopra ogni altra cosa, ha preparato con il partito la successione individuando in Mark Carney l’uomo giusto per vincere le elezioni. E così è stato.

Se possibile, l’ex governatore della Banca centrale d’Inghilterra nei mesi tempestosi della Brexit – primo straniero alla guida dell’Istituto centrale britannico – è stato nei confronti di Trump ancora più duro e assolutista dello stesso predecessore. Sfiorando a sua volta toni sprezzanti.
Ha capito, come Trudeau e la presidente messicana Sheinbaum, che con Trump l’ultima cosa da fare è chinare il capo. Ci vogliono posizioni chiare, che lo mettano di fronte a fatti compiuti e dati di realtà non manipolabili. A quel punto partono le vere trattative.

Carney non ha ovviamente risolto tutti i suoi problemi vincendo le elezioni, anche perché dovrà formare un governo di coalizione. Poi, un modus vivendi con gli Stati Uniti dovrà essere necessariamente trovato abbassando i toni da ambo le parti. Il primo ministro canadese dovrà anche esercitare l’arte della pazienza, cercando di cogliere i momenti giusti per affrontare i diversi e delicati capitoli che lo attendono.

Tanto per cominciare mettersi alla finestra e cercare di capire quale potrà essere la reazione di un Trump così clamorosamente sbugiardato dagli elettori canadesi.

Di Fulvio Giuliani

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