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Trump e gli immigrati espulsi verso l’inferno

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Nelle espulsioni coatte di Donald Trump rimane imbrigliato chiunque. Anche immigrati fuggiti da mondi in cui, volenti o nolenti, avrebbero rischiato la vita per il solo motivo di esistere. Ora tornano a casa, ammanettati come bestie sugli aerei militari

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Trump e gli immigrati espulsi verso l’inferno

Nelle espulsioni coatte di Donald Trump rimane imbrigliato chiunque. Anche immigrati fuggiti da mondi in cui, volenti o nolenti, avrebbero rischiato la vita per il solo motivo di esistere. Ora tornano a casa, ammanettati come bestie sugli aerei militari

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Trump e gli immigrati espulsi verso l’inferno

Nelle espulsioni coatte di Donald Trump rimane imbrigliato chiunque. Anche immigrati fuggiti da mondi in cui, volenti o nolenti, avrebbero rischiato la vita per il solo motivo di esistere. Ora tornano a casa, ammanettati come bestie sugli aerei militari

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È una ragazza vestita all’occidentale, così simile alle nostre figlie. Fotografata mentre con il rossetto scrive «Help us» (Aiutateci) sui vetri di un albergo di Panama City, trasformato in prigione per deportati. Si chiama Artemis Ghasemzadeh, una giovane iraniana espulsa dagli Stati Uniti per effetto degli ordini esecutivi del presidente Donald Trump e della sua politica di ‘tolleranza zero’ nei confronti degli immigrati illegali. Per lui, soltanto delinquenti dediti al traffico di droga o fentanyl. O le file degli ammanettati ripresi di spalle mentre salgono a forza su un aereo militare.

Sono anche ragazze, uomini, donne, bambini che vediamo dietro i vetri di quell’albergo di Panama, dove sono finiti in attesa di conoscere il loro destino. Sono volti e storie come quella di Artemis, che se dovesse essere rimpatriata a forza in Iran rischierebbe di finire appesa per il collo a una gru sulla pubblica piazza. Come si usa in quell’orrenda teocrazia con gli oppositori del regime o semplicemente con le persone scomode o ‘immorali’. Perché si è convertita al cristianesimo ed è passibile di condanna alla pena di morte. Espulsa, deportata, oggi scrive appelli disperati sul vetro di una prigione improvvisata. Conosciamo la sua storia grazie al lavoro del “New York Times”, il giornale più famoso al mondo e di fatto una delle istituzioni americane in cui si prova ancora ad alzarsi al mattino senza dover guardare con vergogna la Statua della Libertà.

Di Marco Sallustro

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