Trump impone la sua agenda a Israele. Umiliato anche Netanyahu
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto lo slalom aereo tra i cieli del mondo per evitare il mandato di cattura della Corte penale internazionale, soltanto per essere trattato come l’ultimo guitto dal presidente degli Usa

Trump impone la sua agenda a Israele. Umiliato anche Netanyahu
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto lo slalom aereo tra i cieli del mondo per evitare il mandato di cattura della Corte penale internazionale, soltanto per essere trattato come l’ultimo guitto dal presidente degli Usa
Trump impone la sua agenda a Israele. Umiliato anche Netanyahu
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto lo slalom aereo tra i cieli del mondo per evitare il mandato di cattura della Corte penale internazionale, soltanto per essere trattato come l’ultimo guitto dal presidente degli Usa
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto lo slalom aereo tra i cieli del mondo per evitare il mandato di cattura della Corte penale internazionale. Soltanto per essere trattato come l’ultimo guitto dal presidente degli Usa. Non è stata un’umiliazione chiaramente codificabile come quella subita dal presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj. Ma Netanyahu non è riuscito neanche a cavare un allentamento dei pesanti dazi imposti dagli Stati Uniti. La visita si è risolta in un nulla di fatto. Con una passerella dove Donald Trump sentenziava a tutto spiano e il suo omologo israeliano annuiva.
Gli analisti hanno registrato un fenomeno inedito tra Washington e Gerusalemme, una sorta di possessione politica. Trump, autodefinitosi isolazionista e pacifista, conduce la politica estera statunitense come se fosse quella israeliana. Bombarda gli Huthi in solitaria. Minaccia l’Iran di guerra perché non deve avere l’arma atomica (anche se evitare la proliferazione nucleare non è certamente un cardine del trumpismo). Poi però prescrive addirittura a Netanyahu di comportarsi bene con Ankara (e quindi con la Siria quotidianamente bombardata dai caccia israeliani). E il primo ministro d’Israele abbozza senza contraddirlo. E sulla questione delle tariffe doganali, la frase «Vi diamo già miliardi di dollari in aiuti» è stata la pietra tombale. Con cui Trump ha sigillato il capitolo. La captatio benevolentiae di Netanyahu, con l’azzeramento preventivo delle tasse d’importazione verso i prodotti statunitensi, si è quindi dimostrata del tutto inutile.
Gli israeliani hanno insomma mandato oltreoceano un leone e l’hanno visto trasformarsi in pecora. Mentre i dazi mettono in pericolo più di 20mila posti di lavoro in un Paese di meno di 10 milioni di abitanti. La mansuetudine di Netanyahu viene comunque da un calcolo politico molto chiaro. Soltanto Trump può davvero consentirgli la copertura internazionale per mandare Tsáhal, l’Armata di difesa d’Israele, a occupare la Striscia di Gaza e annettere la Valle del Giordano in Cisgiordania. Se questo vuol dire rischiare un aumento temporaneo della disoccupazione, Gaza val bene un dazio.
Così i carri armati Merkava si stanno facendo strada per la seconda volta nella città di Rafah, trasformata in una no man zone. Dopo l’ordine totale di evacuazione qualunque maschio palestinese in età militare che si trova lì è potenzialmente un bersaglio legittimo, indistinguibile dai miliziani di Hamas che si muovono nei tunnel (operativi ancora al 95%). E in Cisgiordania l’operazione “Homet Barzel” (Muro di Ferro) continua e si allarga, coinvolgendo i 380mila abitanti della provincia palestinese di Nablus.
In questo delicato momento per il Medio Oriente, il presidente statunitense ha annunciato l’avvio imminente di trattative dirette con gli ayatollah sul nucleare soltanto per essere smentito dall’altra parte. Sebbene diretto, si tratta di un semplice incontro – hanno specificato da Teheran – e non di una trattativa. Inoltre per gli iraniani le richieste statunitensi sono diventate eccessivamente massimaliste perché ora comprenderebbero anche un abbandono totale della tecnologia nucleare (quindi anche il lato civile) e uno stop alla ricerca missilistica, irrinunciabile fiore all’occhiello delle forze armate persiane.
La versione trumpiana della spada di Brenno è tuttavia rappresentata dai bombardamenti intensi che ha scatenato sugli Huthi in Yemen. Martedì notte il monte Nuqum alle spalle della capitale yemenita Sana’a è stato illuminato dalle bunker buster sganciate probabilmente dai bombardieri B-2 Spirit partiti dalla base di Diego Garcia, usate per colpire le infrastrutture militari sulla sua sommità e i vani sotterranei recentemente costruiti. Un avvertimento per chi pensasse, in Iran, che i siti nucleari sotterranei sono fuori dalla portata di Trump.
di Camillo Bosco
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