Trump, un Maga alla corte del re inglese
Può darsi che lo sfarzo smodato con cui il presidente americano è stato ricevuto da Carlo III sia una forma di ironia molto british scelta dalla corona britannica per l’ospite atteso
Trump, un Maga alla corte del re inglese
Può darsi che lo sfarzo smodato con cui il presidente americano è stato ricevuto da Carlo III sia una forma di ironia molto british scelta dalla corona britannica per l’ospite atteso
Trump, un Maga alla corte del re inglese
Può darsi che lo sfarzo smodato con cui il presidente americano è stato ricevuto da Carlo III sia una forma di ironia molto british scelta dalla corona britannica per l’ospite atteso
Aridatece Dario Fo, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Vedendo le immagini di Donald Trump – accolto in Inghilterra da re Carlo III con onori e cerimonie più imperiali che regali (caso unico nella storia, considerando che si tratta della seconda volta per il presidente Trump), carrozze listate d’oro, una miriade di guardie in uniforme che neppure a Buckingham Palace, una tavola apparecchiata e lunga a non finire – la nostalgia per l’ironia della canzone “Ho visto un re”, interpretata varie volte da quei tre grandissimi talenti, saliva spontanea: «Ho visto un re / Sa l’ha vist cus’è? / Ha visto un re! / Ah beh, sì beh, ah beh, si beh».
Può darsi che lo sfarzo smodato con cui il presidente americano è stato ricevuto da Carlo III – che lui chiama «my friend Charles» anche se i due sono separati da posizioni distantissime sull’ambiente (il sovrano inglese è da lunghi anni un ecologista convinto, Trump no) e sull’Ucraina – sia una forma di ironia molto british scelta dalla corona britannica per l’ospite atteso.
Di certo, mentre la liturgia del potere e della monarchia andava in scena, mercoledì la Bbc dava ampio spazio alle proteste di piazza contro il tycoon. Poca cosa, ovviamente, se messe in concorrenza con il pragmatismo che questa seconda visita ufficiale di Trump dovrebbe portare nelle casse inglesi. Sì, perché in ballo – e lo si è ben visto ieri nell’incontro di Trump con il primo ministro inglese Keir Starmer – fra Usa e Regno Unito ci sono accordi commerciali e business.
Per il primo ministro inglese questo non è un buon momento: i laburisti vanno male nei sondaggi nonostante abbiano stravinto le elezioni poco più di un anno fa, mentre la destra di Nigel Farage sale e l’opinione pubblica appare piuttosto sfiduciata per le misure prese sinora dal governo laburista. Ecco allora che potrebbe esser bene accolto dagli inglesi un accordo con il presidente Trump, che ben conosce la lingua dei soldi, vantaggioso per entrambi ma soprattutto per Londra (ieri il quotidiano britannico “The Guardian” scriveva addirittura di investimenti americani nel Regno Unito «per 150 miliardi di sterline»).
E ieri a Chequers, la residenza di campagna del primo ministro britannico che si trova a una settantina di chilometri da Londra, il peso economico del bilaterale fra Starmer e Trump lo si capiva pure dalla compagnia di giro che attorniava i due protagonisti del vertice. Una compagnia composta dai capi di grandi aziende come il gigante farmaceutico britannico Gsk, il gruppo industriale Rolls-Royce e l’americana Microsoft (per citarne soltanto alcune). Del resto già dal banchetto di mercoledì sera, quello voluto da re Carlo III e con il tavolo infinito, si era respirato l’odore dei soldi grazie alla presenza di numerosi dirigenti del settore tecnologico (Apple, OpenAI, Nvidia e via di seguito) attovagliati assieme al sovrano inglese e al presidente americano.
In un’epoca come la nostra, dove la politica è l’economia e viceversa, mai bilaterale poteva esser perciò più ricco di interessi e politicamente semplice da capire, considerando la volontà di Trump di avere una «special relationship» con il Regno Unito, anche a scapito dell’Unione Europea. Resta però un rovello, in questa linearità della due giorni inglese del presidente americano.
Ieri con Starmer il tycoon, fra le altre cose, ha fatto visita agli archivi di Churchill. Chissà il vecchio Winston – dopo aver bevuto un bicchiere del suo whisky preferito (il Johnnie Walker Black Label) ed essersi acceso un sigaro cubano “Romeo y Julieta” – cosa avrebbe pensato di questo Donald, il Maga venuto dall’America. Magari che «non sempre cambiare equivale a migliorare, ma che per migliorare bisogna cambiare».
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