Turbante iraniano
Non è l’attacco israeliano a minacciare la pace, ma la corsa iraniana alla bomba atomica. Si può mediare su molte cose, ma non su questo

Turbante iraniano
Non è l’attacco israeliano a minacciare la pace, ma la corsa iraniana alla bomba atomica. Si può mediare su molte cose, ma non su questo
Turbante iraniano
Non è l’attacco israeliano a minacciare la pace, ma la corsa iraniana alla bomba atomica. Si può mediare su molte cose, ma non su questo
Non è l’attacco israeliano a minacciare la pace, ma la corsa iraniana alla bomba atomica. La dittatura teocratica considera essenziale al proprio peso il potere disporre di quell’arma. Per le democrazie, per il mondo civile e per gli arabi sunniti è essenziale escludere che gli iraniani ci riescano. Si può mediare su molte cose, ma non su questo. Israele è soltanto il primo bersaglio annunciato, quindi il fronte esposto che muove l’intervento armato per ribadire il divieto. E ancora una volta, come nei confronti dei mercenari iraniani di Hamas, a molti fa comodo che sia Israele a regolare i conti.
Non si fraintendano, però, i dati che la realtà restituisce. Il colpo israeliano – almeno fin qui – è preciso ed efficace, devastante. Israele non ha agito da solo, qui non siamo a Gaza, dove non riesce ad estirpare Hamas, con costi umani altissimi. Il colpo preciso, l’eliminazione di capi miliziani e i bersagli dei centri atomici hanno un significato: il fatto che riusciate a menare per l’aia la Casa Bianca, incapace di costringere i pur favoriti russi a fermarvi, non significa che possiate andare avanti indisturbati. Ci sta anche la volontà di Netanyahu di dimostrarsi non imbrigliabile, ma gli israeliani hanno ragione: gli iraniani non devono avere la bomba atomica.
La reazione iraniana, almeno fin qui, è intimorita: ovvia la rappresaglia e scontata la sua parziale inefficacia, ma evita bersagli americani e lascia aperta la strada del negoziato. Le parole subiranno un crescendo, ma fa parte della scena. Il regime è marcio dentro e il punto è: su cosa si negozia? In fondo l’Iran è l’esempio seguito dall’alleato Putin: si negozia senza approdare a niente, si favoriscono gli affari e nel frattempo si aprono nuovi fronti di guerra. Lo scenario iraniano è così da anni, intanto i teocrati hanno creato succursali terroristiche operative e hanno continuato la corsa al nucleare. Che sembra essere giunta all’esito da loro desiderato: hanno coltivato tanto uranio da poterne costruire diverse. La caduta di Assad, in Siria, è stata per loro (e Putin) un duro colpo.
La Casa Bianca strepita, ma non agisce. Israele ha annunciato mille volte una reazione. Quello in corso è un esempio di dialogo armato. Ma se non si sveglia la politica continueranno a parlare soltanto le armi. Non esiste diplomazia, non esistono negoziati, se al tavolo con aggressori e dittature aggressive non ci si siede armati fino ai denti e avendo chiarito che si è pronti a usare le armi. Da questo punto di vista Israele non ha solo ragione, ma sta facendo un piacere anche ad altri.
Il che ci riporta al tema del riarmo e della sicurezza interna che oggi non saremmo, noi europei, in grado di assicurare. Israele è una specie di miracolo: una democrazia sempre sotto aggressione e sempre in guerra, che rimane una democrazia con i cittadini in piazza che manifestano contro il governo. Noi siamo dei miracolati: democrazie che sperano di restare tali avendo posposto, se non cancellato, il tema della difesa. Finita quella stagione non si pensi di potere parlare soltanto di spesa. Che sarà comunque crescente.
Quello delle percentuali non è un gioco, anche perché noi italiani spendiamo ancora meno di quel che promettemmo una decina d’anni fa. La spesa per la difesa crescerà di peso sul Pil, ma non basta chiedere altri dieci anni. Noi italiani siamo in difetto rispetto alla Nato, cerchiamo di non replicare in Ue, anche perché quello della difesa è un mercato in cui possiamo crescere. Abbiamo difficoltà di bilancio, ma questo non ci impedisce di far osservare che per spendere assennatamente si deve farlo nel quadro della difesa comune e non in quello dei bilanci separati. Non c’è tempo per discettare se fare prima la difesa comune o investire prima negli strumenti della difesa: si deve agire contemporaneamente. E si può farlo senza nasconderlo all’opinione pubblica, spiegando che non ci si deve turbare se si spende in difesa, indicando i turbanti iraniani come esempio di minaccia coordinata con la Russia che invade l’Ucraina.
Non parlarne, sperando così che non esistano, è divenuto impossibile.
Di Davide Giacalone
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