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Usa 2024, l’ultima campagna del passato

Chiunque vinca questa non è la prima campagna del futuro americano, ma l’ultima di un passato che si esaurisce

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Usa 2024, l’ultima campagna del passato

Chiunque vinca questa non è la prima campagna del futuro americano, ma l’ultima di un passato che si esaurisce

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Chiunque vinca questa non è la prima campagna del futuro americano, ma l’ultima di un passato che si esaurisce

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Chiunque vinca questa non è la prima campagna del futuro americano, ma l’ultima di un passato che si esaurisce

Molti elettori europei hanno già sperimentato quel che ora tocca agli statunitensi: potere votare più contro che per qualche cosa o qualcuno. Quelli democratici non sanno ancora chi sarà il loro candidato – la convention sarà aperta – ma sanno già che saranno chiamati a votare per fermare il ritorno di Trump. Gli elettori repubblicani hanno praticamente visto azzerare il loro partito – che al seguito di Trump ha mutato natura – e vengono chiamati a fermare i democratici. Quel che resta della campagna elettorale sarà intestato alla paura e al pathos. Che usiamo per indicare le emozioni e le passioni, ma rimane pur sempre la radice di una malattia, una patologia. In ogni caso ci sarà poco spazio per gli elementi razionali: l’economia mantiene il suo peso, ma in una visione più da suggestione personale e protezionistica.

La stanchezza fisica e il peso degli anni di Joe Biden, presidente in carica, erano evidenti ma i maggiorenti del suo partito hanno affrontato la questione nel modo e nel tempo peggiori. Hanno compartecipato all’affiancamento dell’usura mentale a quella fisica, in un modo offensivo per il presidente e danneggiando anche sé stessi, rimasti inerti difronte a un problema che, se esistente, avrebbe esposto gli Usa a gravissimi rischi. Mentre i vertici democratici palleggiavano inutilmente la questione, Biden li ha presi in contropiede (alla faccia del dormiente) e annunciato la ricandidatura. A quel punto il pasticcio era fatto. L’aggravante è averlo marinato a lungo.

Il presidente uscente può ben sostenere che la sua gestione ha portato risultati buoni. Il Partito democratico li scarta dalla campagna, sostituendolo in questo modo. È vero che l’inflazione è alta e che Russia e Cina hanno alzato il livello dello scontro e delle minacce, ma è anche vero che l’economia Usa cresce molto bene, la disoccupazione è frizionale e praticamente azzerata, le nuove iniziative imprenditoriali nascono come funghi sul terreno reso umido dall’irrigazione dei fondi statali. Biden ha ereditato gli accordi per il ritiro dall’Afghanistan e ha scelto di accelerarne i tempi per non trascinare la piaga. L’esecuzione è stata drammatica, ma la scelta era corretta. Vero che le potenze ostili hanno soffiato su diversi fuochi, ma la Casa Bianca è riuscita a mantenere unite le democrazie occidentali, che non è affatto risultato da poco. L’ipotesi che quel bastione cada non favorisce le destre europee: favorisce quelle che coltivano l’amicizia con Putin. Che non è la stessa cosa.

Quel che Biden non poteva mostrare è quello di cui è sprovvisto: il carisma. È un politico che puoi apprezzare o da cui puoi dissentire, ma non è uno di cui sei chiamato a infatuarti. L’opposto di Trump (e di Obama). I democratici hanno scelto di non giocare con le regole di Biden, indicando i successi e chiamando alla mobilitazione contro il messianesimo: hanno scelto di giocare con quelle di Trump, pensando che sia così più facile batterlo, chiamando il pathos e accettando la patologia.

Sarà una campagna più sulle emozioni che non emozionante, al termine della quale l’eletto sarà chiamato a tradire le passioni agitate, dovendo fare i conti con la realtà e non con i millenarismi. Chiunque vinca questa non è la prima campagna del futuro americano, ma l’ultima di un passato che si esaurisce. Tutto sta a capire se i talenti migliori penseranno sia utile dedicarsi alla cosa pubblica o preferiranno far quattrini (nobilissima arte, se praticata correttamente). La speranza è che la prima cosa non sia resa necessaria dalla fine dell’equilibrio di pace – sì, di pace – che la forza statunitense ha garantito dopo la fine dell’ultimo conflitto mondiale.

Per noi europei è la chiamata a crescere in fretta. Eredi di un mondo straordinariamente bello, in cui lo sport collettivo consiste nel lamentarsi e nel raccontare quanto sia squilibrato e ingiusto, vediamo nonni e genitori uscire di scena, sicché il tempo della falsa trasgressione e dell’adulta svagatezza sarà bene considerarlo finito.

di Davide Giacalone

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