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Vizi e virtù dello scapigliato Boris Johnson

Dalla laurea in lettere classiche ad Oxford all’inseguimento della Brexit. Ora che il governo di Boris Johnson è arrivato al capolinea, crollerà anche quella politica di protagonismo da lui ben rappresentata?
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Vizi e virtù dello scapigliato Boris Johnson

Dalla laurea in lettere classiche ad Oxford all’inseguimento della Brexit. Ora che il governo di Boris Johnson è arrivato al capolinea, crollerà anche quella politica di protagonismo da lui ben rappresentata?
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Vizi e virtù dello scapigliato Boris Johnson

Dalla laurea in lettere classiche ad Oxford all’inseguimento della Brexit. Ora che il governo di Boris Johnson è arrivato al capolinea, crollerà anche quella politica di protagonismo da lui ben rappresentata?
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Dalla laurea in lettere classiche ad Oxford all’inseguimento della Brexit. Ora che il governo di Boris Johnson è arrivato al capolinea, crollerà anche quella politica di protagonismo da lui ben rappresentata?
Non ha quel nome per caso, semmai è il cognome ad avere basi meno solide. Boris, per la precisione: Alexander Boris si chiama in quel modo perché di origini anche russe, oltre che turche e musulmane. Di lui si possono dire molte cose, ma “russofobo” proprio no. Il bisnonno paterno di cognome faceva Kemal. Ali Kemal, ministro dell’impero ottomano. Fu suo figlio, il nonno di Boris, a cambiare il cognome di una famiglia imparentata con la nobiltà tedesca e inglese, usando quello di Johnson. Lui, Boris, è americano nato a New York. Il suo governo è definitivamente caduto ma nel suo Dna e nelle sue contraddizioni c’è un pezzo importante di storia europea. Esageratamente simpatico, anche nel suo essere bugiardo. Qualcuno lo ricorderà a Roma, in occasione di un vertice, nel mentre elenca i sette colli capitolini ma non riesce a ricordare il settimo. Davanti a lui il nostro presidente della Repubblica e quello del Consiglio: non è che non sapessero aiutarlo, è che non sarebbero arrivati a sei. Perché Johnson ha una cultura classica a prova di bomba, capace di recitare in greco (antico) e latino. Laureato a Oxford, in lettere classiche. Ma quando lo prendono a fare il giornalista, al “The Times”, redige un pezzo su scavi archeologici inventando citazioni e attribuendole a casaccio, allo scopo di rendere più accattivante l’articolo. Licenziato, riesce a farsi assumere altrove. Il padre di Boris è stato a lungo parlamentare europeo conservatore. Super europeista, al punto di essere uno degli animatori del “Club del Coccodrillo”, dal nome del ristorante dove s’incontravano. Su quella posizione si trova anche il figlio, fin quando non crede che il vento tiri per Brexit. A esito del referendum, per dire, il padre ha cambiato cittadinanza per restare europeo. Boris aveva cambiato posizione, per restare in vetta. E qui si apre la contraddizione politica, che prescinde totalmente dai rimproveri d’incoerenza o altre facezie non commestibili: cavalca alla grande Brexit, la usa anche per far fuori Theresa May e prenderle il posto, mentre ora è uno dei più determinati e netti interpreti della linea anti Putin, però lo stesso Putin aveva dato una mano eccome, a Brexit. Si era pronunciato a favore dell’elezione di Obama, ma all’arrivo del virus prende la posizione di Trump e Bolsonaro: chi se ne frega, è un’influenza. Un negazionista. Ma mentre quei due restano appiccicati a quel che dissero, Boris realizza che è una cretinata e cambia: chiusure e vaccinazioni. E Uk è in testa alla partenza (noi sorpassiamo in corsa), un buon successo. Così lo scapigliato viene ammirato da gente che la pensa all’opposto. Poi lo beccano a far festini. Lui ammette, ma con l’aria di dire: che sarà mai. Salva la ghirba dalla sfiducia interna al Partito conservatore, ma perde ministri. Vince le elezioni politiche (anche grazie ai laburisti, che si fanno guidare da un antisemita socialista della prima metà del secolo scorso) e perde tutto il resto. Procedendo con la Brexit ideologica rischia di sfasciare l’intero Regno Unito. Il tutto senza mai smarrire l’ironia e una piacioneria così smodata da essere a sua volta piacevole. Ed è questo il punto: Boris ha capito e interiorizzato la politica al debutto di questo secolo, vivendola come palestra di trasformismo e protagonismo. Ma all’appuntamento con la storia si presenta puntuale: Putin deve perdere. Ed è a quel punto che ti dici: magari tutti i populisti trasformisti fossero così.   di Davide Giacalone

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