Vladimir Putin e Hamas non possono vincere
Vladimir Putin e Hamas non possono vincere. Punto. Non è una questione muscolare, di esibizione di forza, di supremazia dell’Occidente ma una necessità
Vladimir Putin e Hamas non possono vincere
Vladimir Putin e Hamas non possono vincere. Punto. Non è una questione muscolare, di esibizione di forza, di supremazia dell’Occidente ma una necessità
Vladimir Putin e Hamas non possono vincere
Vladimir Putin e Hamas non possono vincere. Punto. Non è una questione muscolare, di esibizione di forza, di supremazia dell’Occidente ma una necessità
Vladimir Putin e Hamas non possono vincere. Punto. Non è una questione muscolare, di esibizione di forza, di supremazia dell’Occidente ma una necessità
Vladimir Putin e Hamas non possono vincere. Punto. Non è una questione muscolare, di esibizione di forza, di supremazia dell’Occidente ma una necessità per le nostre democrazie se vogliamo salvaguardare le libertà sinora conquistate, il nostro sistema di convivenza, di diritti e di relazioni internazionali che non prevedono di invadere un altro Paese dalla mattina alla sera e neppure di compiere attentati. Esplicitato questo, che è il punto non derogabile, si possono aprire i ragionamenti sul come e con quali mezzi non far vincere la Russia in Ucraina e Hamas in Medio Oriente.
Partiamo da Mosca. La situazione sul campo in Ucraina oggi non è buona, i russi avanzano e molti leader occidentali ripetono che non devono arrivare a Kiev. Come impedirlo? Questa è la domanda. Se la resistenza ucraina, con gli aiuti occidentali, non ce la fa a reggere l’urto russo le altre opzioni non sono molte. C’è quella, già più volte evocata dal presidente francese Emmanuel Macron, di soldati Nato (quindi anche europei) da mandare sul campo; una opzione che apre dubbi e titubanze non solo fra le stesse éliteoccidentali ma soprattutto nelle nostre opinioni pubbliche. Un’altra opzione è mandare più armi agli ucraini per difendersi e contrattaccare (ma i mesi purtroppo già persi dagli Stati Uniti per gli aiuti rendono quest’opzione assai critica e fuori tempo).
Vi è poi una terza possibilità ed è quella di coinvolgere la Cina di Xi Jinping in un’azione diplomatica affinché faccia pressione sull’alleato Putin e si arrivi alla possibilità di una tregua prima e di una pace poi. Questa possibilità è quella che ha spinto il segretario di Stato americano Antony Blinken nel suo recente viaggio in Cina a dialogare, anche con una certa ruvidezza, con Xi. E su questa opzione ha lavorato lunedì e ieri Macron durante la visita del presidente cinese in Francia. Intendiamoci, a scanso di equivoci: la via diplomatica – necessaria e da perseguire – non significa tralasciare la questione militare finché la guerra è in corso. In questo senso vi è una coerenza nelle uscite recenti di Macron, che da un lato non esclude l’invio di soldati Nato in Ucraina e dall’altro lavora anche alla soluzione diplomatica, dialogando con la Cina. Vedremo come evolverà il quadro nei prossimi giorni e settimane. Intanto, prima di passare al capitolo Medio Oriente, un’ultima cosa sulla guerra in Ucraina: la Russia – se si ricerca anche una via diplomatica – prima o poi si dovrà sedere a un tavolo perché, con tutta la buona volontà (e vedremo se ci sarà) di Pechino, la tregua o la pace va fatta fra russi e ucraini e non con i cinesi.
Capitolo Medio Oriente. Ad agitare il mondo, oltre alla guerra in Ucraina, c’è dal 7 ottobre scorso, giorno dell’attentato di Hamas contro Israele, la situazione nella Striscia di Gaza. Detto chiaro che Hamas non può vincere, le questioni aperte restano due. Israele nella sua controffensiva nella Striscia di Gaza a un certo punto si dovrà fermare. Non può andare avanti all’infinito, come hanno provato a spiegare al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sia il presidente statunitense Joe Biden che alcuni leader europei. Sinora inascoltati. Il secondo punto riguarda invece la Palestina e i palestinesi. Se Hamas non può vincere, per i metodi che usa e che il mondo libero non può accettare, i palestinesi devono capire e sforzarsi di darsi una classe dirigente, scelta da loro (e ci mancherebbe) ma in grado di rappresentarli con una certa autorevolezza sulla scena internazionale. Un punto determinante. Perché se gli Stati Uniti e l’Unione europea possono cercare una via diplomatica sulla situazione nella Striscia di Gaza parlando con i Paesi arabi alleati e insistendo con le loro pressioni su Israele, soltanto i palestinesi sono in grado di determinare il proprio destino attraverso chi dovrà rappresentarli per arrivare ad avere uno Stato. Non è semplice e non sarà subito. Ma questo è.
di Massimiliano Lenzi
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