La zona industriale e mineraria del Donbass, tornata alla ribalta dopo l’invio delle truppe russe, è una zona caratterizzata dall’affluenza di varie etnie, che nel corso della sua storia ha visto l’acuirsi dei rapporti tra russi e ucraini.
Nell’Ucraina esiste una zona industriale e mineraria denominata Donbas (o Donbass), tornata alla ribalta dopo l’invio delle truppe russe e il riconoscimento ufficiale di Vladimir Putin come Stato indipendente. Conteso tra l’Ucraina e i separatisti filorussi, la zona prende il nome dal fiume Donec´, affluente del Don che confluisce nel territorio russo.
Scarsamente abitato fino alla metà del XIX secolo, il Donbas è allora una zona di passaggio tra lo Stato polacco-lituano e quello tataro-musulmano. Con la scoperta e lo sfruttamento dei giacimenti di carbone si hanno i primi insediamenti stabili con la presenza di ucraini, polacchi, cechi, tedeschi, tatari, bulgari e russi. L’eterogenea e varia affluenza di etnie ha caratterizzato per lunghi anni l’immagine del Donbas, che nel corso della sua storia ha visto l’acuirsi dei rapporti tra russi e ucraini.
Dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917 gli abitanti complessivi del Donbas ammontano a quasi due milioni, una cifra irrisoria per costituire una repubblica autonoma. Dieci anni dopo si ha una diffusione della lingua ucraina grazie agli immigrati nelle zone industriali del Donbas e dell’Ucraina sud-orientale, dove il 36% degli operai lavora nelle industrie metallurgiche e nel bacino minerario del Donec´. La politica di Stalin, caratterizzata dalla collettivizzazione forzata e dal prelievo forzoso di grano e sementi, determina la morte di milioni di persone nell’Ucraina e nella zona del Donbas.
Il costante incremento demografico – sette milioni nel 1959 – accentua i contrasti etnici, aggravati dalla differenza linguistica se si pensa che tra gli impiegati statali solo l’8% conosce la lingua ucraina. Eppure il Donbas ha svolto un ruolo politico decisivo nella storia delle due popolazioni, che durante la Seconda guerra mondiale partecipano allo scontro tra nazisti e sovietici e che hanno eretto un monumento denominato “Ai liberatori del Donbass”.
Esso ha dato i natali a Kruščev e Brežnev, figli di operai russi immigrati, poi diventati segretari generali del Pcus, con responsabilità politiche di grande rilievo. Brežnev conduce una campagna di “russificazione” con l’incremento degli ucraini russofoni a danno dei sostenitori del bilinguismo, svantaggiati dall’assenza di università e di una cultura nazionale.
Una ricerca dell’Accademia delle Scienze di Kyiv, condotta nel 2007 sull’uso linguistico, ha stabilito una prevalenza della lingua russa su quella ucraina, senza dire che il fenomeno presenta questioni storiche e investe scelte politiche volte a protrarre una sorta di discriminazione a favore dell’entità più svantaggiata.
Il Donbas post sovietico è stato condizionato dalla presenza dei politici che si sono susseguiti nella compagine governativa dell’Ucraina, dove Viktor Janukovyč e Mykola Janovyč Asarov – l’uno presidente dal 2002 al 2007 e l’altro dal 2010 al 2014 – hanno condotto una politica filorussa la cui lettura può offrire una chiave interpretativa dell’invasione putiniana dell’Ucraina.
Di Nunzio Dell’Erba
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