Sarebbe un errore sottovalutare la candidatura di Silvio Berlusconi al Colle. La sua spregiudicatezza incoerenza, il suo all in di fronte a una sfida sono strumenti a prescindere da regola e da costume.
Sagaci commentatori, sottili velinisti, consumati cronisti parlamentari ancora si sorprendono della impudicizia, da loro ritenuta tale, di Silvio Berlusconi nel candidarsi al Quirinale. Prima scrivendo che era semplicemente incredibile; poi sostenendo che non avrebbe mai avuto i numeri perché i tristi comprimari avrebbero tramato per pensionarlo; quindi riducendosi, un po’ basiti, a sconsigliarne le ambizioni; infine rassegnati al pallottoliere e pendenti dalle veline di Arcore per comprendere l’incomprensibile.
Davanti al campione del pragmatismo si ostinano ad applicare norme non scritte, opportunità e impedimenti giuridici e non, dimenticando che quest’uomo è in primo luogo e sempre un imprenditore. Chi esce dal proprio campo di eccellenza per entrare in uno inconsueto, normalmente quelle norme le studia e le applica con stretta osservanza. Berlusconi no. La sua spregiudicata incoerenza, il suo all in di fronte a una sfida sono strumenti a prescindere da regola e costume.
Ricordo che in attesa nel salotto di Palazzo Grazioli mi cadde l’occhio su una copia de “Il Principe” di Machiavelli opportunamente lasciata su un tavolino. Non avrei potuto trovare altro. State tranquilli, terrà duro: sarebbe un inutile presidente, non è stato uno statista ma uno specchio a destra della cinica volpe di Gallipoli. Stessi risultati. Ma non si ritirerà fino alla fine perché lui è Berlusconi e non altro, salvo lettiana piroetta finale: quella che vogliono i cronisti per sapere di aver avuto ragione. Intanto, popcorn.
Di Flavio Pasotti
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