Stiamo ormai facendo l’abitudine ai successi dei tennisti italiani e non vogliamo proprio smettere. Dopo decenni di nulla o ben scarse soddisfazioni al maschile, nessun traguardo sembra impossibile per gli azzurri. La semifinale degli Australian Open, raggiunta ieri da Matteo Berrettini, appare così un risultato straordinario ma al contempo logico. Nulla di sorprendente, insomma, nella vittoria da romanzo del romano contro il veterano e funambolico francese Monflis.
È nella logica delle cose che Berettini, da virtuale numero sei al mondo, si arrampichi sino al penultimo atto di uno Slam, in cui affronterà sua maestà Rafa Nadal. Il modo, però, contribuisce a creare il personaggio: la partita Matteo l’ha prima dominata, poi quasi persa e infine ripresa con il braccio e la testa. Gestendo anche qualcosa che, nonostante tutto, continua a far notizia sui campi da tennis: il tifo contro e offensivo. È già storia-social la sua reazione agli ultras francesi («Non vi sento, non vi sento, non vi sento!»). Anche così ci si afferma all’attenzione generale, superando i confini del tennis, che resta peraltro uno dei pochi sport a poter garantire notorietà globale.
Quando ci leggerete conoscerete già il risultato del quarto di finale di Jannik Sinner, ma ci sentiamo di poter parlare di successo comunque sia andata a finire. Cos’altro dire quando una leggenda capace di attraversare mode e generazioni come John McEnroe si offre pubblicamente di allenarti? Solo che il mondo (del tennis) è ufficialmente alla rovescia.
Di Diego de la Vega
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