Bob Marley, le donne e la tv pubblica
Anni fa il buon Bob Marley cantava «No woman, no cry», una rima indimenticata che oggi si è trasformata in «No woman, no panel», un documento che impegna la televisione pubblica affinché nei dibattiti e nei talk venga assicurata una pari presenza di uomini e di donne. A prescindere dai valori e dai talenti d’ognuno.
Bob Marley, le donne e la tv pubblica
Anni fa il buon Bob Marley cantava «No woman, no cry», una rima indimenticata che oggi si è trasformata in «No woman, no panel», un documento che impegna la televisione pubblica affinché nei dibattiti e nei talk venga assicurata una pari presenza di uomini e di donne. A prescindere dai valori e dai talenti d’ognuno.
Bob Marley, le donne e la tv pubblica
Anni fa il buon Bob Marley cantava «No woman, no cry», una rima indimenticata che oggi si è trasformata in «No woman, no panel», un documento che impegna la televisione pubblica affinché nei dibattiti e nei talk venga assicurata una pari presenza di uomini e di donne. A prescindere dai valori e dai talenti d’ognuno.
Anni fa il buon Bob Marley cantava «No woman, no cry», una rima indimenticata che oggi si è trasformata in «No woman, no panel», un documento che impegna la televisione pubblica affinché nei dibattiti e nei talk venga assicurata una pari presenza di uomini e di donne. A prescindere dai valori e dai talenti d’ognuno.
Che c’entra Bob Marley con la Rai? Nulla, ma forse un pochino c’entra. Arricciolato nei suoi capelli rasta e libertari il buon Bob cantava anni fa «No woman, no cry», una rima musicale indimenticata che oggi si è trasformata, in tempi di quote rosa e di parità a colpi di scelte politiche, in «No woman, no panel». Sì, perché questo è il nome di un memorandum – in italiano traducibile in un banale “Tenetelo a mente” – che la Rai ha fatto proprio: “No Women No Panel – Senza donne non se ne parla”.
Trattasi di un documento sottoscritto dal ministro per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, dalla presidente Rai Marinella Soldi e dai rappresentanti del Cnel, dell’Upi, dell’Anci, della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, del Cnr, dell’Accademia dei Lincei e della rappresentanza in Italia della Commissione europea (qualcuno ci salvi da questo diluvio di sigle e di acronimi istituzionali).
Impegna la televisione pubblica affinché nei dibattiti e nei talk che mette in scena venga assicurata una pari presenza di uomini e di donne. Avete letto bene: se invitate il Galileo Galilei di oggi dovete anche ospitare una Galilea Galilei. Non esiste in questo momento? Inventatevela, che diamine! Lo chiede il bene supremo della parità di opportunità.
Il buonismo – fatto anche di quote rosa – richiede appunto questo. Pareggiare. Equilibrare maschi e femmine. A prescindere (come avrebbe detto quel genio di Totò) dai valori e dai talenti d’ognuno. Quelli, in televisione, son roba da perditempo.
Di Aldo Smilzo
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