L’Europa è protagonista del dibattito pubblico italiano ormai da anni. Per una lunga e sfortunata stagione, soprattutto capro espiatorio dei nostri ritardi, dell’ignavia davanti alle scelte da prendere. C’è voluta una pandemia, siamo onesti, per cominciare a rimettere a posto le cose, almeno a rivedere l’ordine di priorità dei problemi.
Lo sconvolgimento globale a cui abbiamo assistito e la necessità di sostenere in tutti i modi un rilancio che impedisse l’avvitarsi della crisi hanno prodotto l’apparente ‘miracolo’ di ragionamenti a lungo negati. Una volta riportati brutalmente sulla terra dal Coronavirus, milioni di italiani fino a ieri compiaciuti e distratti hanno ‘riscoperto’ l’Europa. Intesa come Unione.
Davanti al Next Generation Eu, del resto, anche il più cocciuto degli oppositori è costretto a battere in ritirata, ma il punto continua a non essere questo. L’esperienza dell’Unione europea non può essere vissuta, raccontata e valutata in termini di cronaca, ma merita un approccio storico. Altrimenti solo una cosa è certa: fuorviare il giudizio della pubblica opinione.
Anche su questo giornale abbiamo scritto delle difficoltà di integrazione politica con alcuni dei Paesi dell’Est, ma ciò non può significare rinnegare il loro ingresso nell’Unione. Una svolta che rappresentò la chiusura di una ferita storica, risalente all’immediato dopoguerra e alla ‘cortina di ferro’ riecheggiata per la prima volta nelle parole di Winston Churchill.
Non un leader buono per un’estate.
Un Viktor Orbán in Ungheria o le più che legittime perplessità sull’approccio di alcuni degli ultimi governi polacchi all’equilibrio fra poteri nulla hanno a che vedere con la conquista di fondo dell’Unione e con il progetto a lungo termine dell’ideale comunitario. Dovremmo cominciare a ribaltare alcune delle armi dialettiche, a lungo usate contro l’Europa: cosa sarebbe oggi, per esempio, la Romania senza l’Unione? Cosa ne sarebbe stato delle forze di opposizione democratica in Polonia o Ungheria, senza i duri interventi della Commissione e del Parlamento europeo? Dove avrebbero trovato sbocchi commerciali e finanziari e geostrategici quegli stessi Paesi reduci dall’esperienza del socialismo reale, senza il polo di attrazione democratico delle istituzioni dell’Unione? Non sono domande retoriche, è su questo piano che bisogna sfidare gli antieuropeisti di professione e gli euroscettici ‘zotical chic’ che continuano a negare l’esistenza di una politica europea.Cos’è tutto questo, se non politica? Perfettibile quanto si voglia, ma esistente e concreta, in un contesto storico.
Con buona pace di chi cavalca le mode del momento. Anche le più miopi e pericolose. Di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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Tag: Europa, Next Generation EU
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