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Default tecnico Russia

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Si apre uno scenario da incubo per Mosca: un default tecnico, il più grave e colossale fallimento globale degli ultimi vent’anni. Che Putin intende pagare con i rubli. Vale a dire, oggi come oggi, carta colorata.
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Si apre uno scenario da incubo per Mosca: un default tecnico, il più grave e colossale fallimento globale degli ultimi vent’anni. Che Putin intende pagare con i rubli. Vale a dire, oggi come oggi, carta colorata.
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Si apre uno scenario da incubo per Mosca: un default tecnico, il più grave e colossale fallimento globale degli ultimi vent’anni. Che Putin intende pagare con i rubli. Vale a dire, oggi come oggi, carta colorata.
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Si apre uno scenario da incubo per Mosca: un default tecnico, il più grave e colossale fallimento globale degli ultimi vent’anni. Che Putin intende pagare con i rubli. Vale a dire, oggi come oggi, carta colorata.

Nelle ultime quarantott’ore si è fatto un gran parlare del default tecnico della Russia, con la scadenza del pagamento di cedole in dollari per 117 milioni. Le relative obbligazioni scadranno nel 2023 e 2043. Un debito che Mosca ha fatto sapere di voler ‘onorare’ ripagandolo non in valuta pregiata ma in rubli. Come dire, oggi come oggi, carta colorata.

La stampa italiana e internazionale si è molto esercitata su questa notizia, che sulle nostre pagine avevamo segnalato già la scorsa settimana. Non perché fossimo particolarmente bravi o attenti, ma nel tentativo di guardare in prospettiva una realtà che evolve giorno dopo giorno sul terreno di guerra, secondo direttrici già perfettamente visibili.

I 117 milioni di cedole non ripagate secondo contratto determinerebbero lavvio di una procedura automatica, con un periodo di grazia, nel quale verrebbero concessi al debitore (la Russia) 30 giorni per sistemare le cose. Passato questo mese senza novità, qualsiasi creditore potrebbe teoricamente chiedere a un giudice di rivalersi su beni russi. Tecnicismi a parte, il problema non è certo rappresentato dai 117 milioni di dollari andati in scadenza ieri, ma dalla prospettiva da incubo che si spalanca per Mosca.

È lo schema annunciato dagli stessi russi: la sostanziale incapacità di ripagare i debiti contratti in valute ormai off limits, a causa delle sanzioni occidentali, delinea un default progressivo non sui trascurabili 117 milioni di questi giorni ma su 150 miliardi di dollari di esposizione. Il più grave e colossale fallimento a livello globale degli ultimi vent’anni, dopo il default greco. Con l’enorme differenza che il debito di Atene era garantito dall’Unione europea e il Paese fu salvato due volte (anche da noi italiani).

La Russia non ha un prestatore di ultima istanza. Davanti a una prospettiva del genere, ragionare di trucchi e scorciatoie può andar bene in qualche salotto televisivo imbevuto di propaganda putiniana, non nella realtà dei mercati internazionali e della vita quotidiana di un Paese che finirebbe del tutto privo di capacità finanziaria.

Che al Cremlino lo sappiano benissimo lo dimostrano i rumor sempre più insistenti sui tentativi di approccio alla Cina e all’India, per garantirsi un mercato alternativo alle proprie materie prime – unico bene esportabile dell’economia russa – e su un fumoso progetto di sopravvivenza legato alla valuta cinese, con cui provare ad aggirare le sanzioni. Difficile non vedere lelefante nella stanza: il trascurabile’ risultato di rendere di fatto la Russia un vassallo del regime di Xi, completamente dipendente da quest’ultimo per qualsiasi esigenza. Anche primaria.

Non è fantascienza, è lanalisi della situazione in cui Vladimir Putin ha spinto il suo Paese. Una lettura ritenuta più che credibile dalla maggioranza degli analisti, gente abituata a valutare la realtà dei numeri, non a esprimere giudizi per simpatie politiche.

A proposito della Cina, argomentavamo 48 ore fa della posizione chiaramente ambigua di Pechino, ma da non confondere con una disponibilità ad abbandonare il mercato occidentale sull’altare dello zar. Ieri mattina presto – ora italiana – è arrivata una notizia da valutare proprio in questo contesto: il Comitato per la stabilità e lo sviluppo finanziario cinese, che tiene strettamente le redini delle regole imposte alle aziende del Dragone, ha annunciato lallentamento della repressione normativa su un gruppo di cruciali aziende tech del Paese e di voler sostenere le società immobiliari e tecnologiche per stimolare l’economia. Annuncio che – non certo a caso – ha messo le ali ai piedi ai mercati asiatici, nel giorno in cui si attendeva laumento dei tassi da parte della Federal Reserve americana.

La Cina, in sostanza, continua a reagire in sincrono agli stimoli che arrivano da Occidente. Dominano sempre gli interessi di Pechino, ma in un contesto che guarda e riconosce il mercato Usa ed europeo. La Cina è lunica alternativa di Putin, Putin non è lunica alternativa di Pechino.

Elementi da considerare, nelle ore in cui la disponibilità a trattare del presidente ucraino Zelensky ha registrato i primi riconoscimenti, sia pure a mezza bocca, di Mosca.

di Fulvio Giuliani

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