Tutti al mare, a vedere le cose più chiare. Bene com’è andata, bene la fine di una sceneggiata, ma capirla dovrebbe servire a non ripeterla.
Tutti lì a lamentarsi per la burocrazia, le regole folli, gli ostacoli frapposti alla libera impresa, il masochismo di chi rallenta i produttori di ricchezza e via così salmodiando la blasfema collana di luoghi comuni. Come abbiamo fatto a ridurci in queste condizioni ve lo spiega Gian Marco Centinaio, con una lectio magistralis sulle concessioni balneari. Nooo, non commettete l’errore di non interessarvene, di ritenerlo un problema settoriale, uno scontro ideologico o propagandistico. La sabbia nel motore produttivo viene da lì. E c’è molto da imparare.
Centinaio, ora sottosegretario all’Agricoltura, fu ministro del Turismo e con il suo partito, la Lega, si è battuto contro le gare per l’assegnazione delle concessioni balneari. Così difendendo delle rendite. E siccome quelle gare sono previste, oltre che dal buon senso, anche da una direttiva europea, si prendevano due piccioni con una fava: “No alle gare” e “No all’Europa”. Fantastico. Però il vento cambia e oggi si ritrovano nel governo Draghi, smaccatamente europeista. Tocca, al solito chiassosamente e per confondere le idee, invertire la rotta.
Però, ed è qui il guizzo impareggiabile, prima delle gare facciamo una fotografia. De che? Delle spiagge demaniali e delle mani in cui si trovano. Dal che deriva che non si sa chi abbia in mano – da quanto tempo, pagando cosa, in quale posto – ciò che è dello Stato. E manco le gare volevano fare. Vabbè, dai, stai a guardare il pelo: facciamo la foto. Solo che mica è un’istantanea perché, alla domanda sul tempo necessario, risponde: «Qualche anno». Fe-no-me-na-le! Ha guidato il turismo italiano e gli ci vorrebbe qualche anno per sapere su quali spiagge sorgono quali stabilimenti e di chi.
È esattamente questa l’Italia che frena e fa da zavorra, questa l’intelligenza messa al servizio della miseria, questo il modo per non scoprire mai che tante di quelle spiagge non sono più neanche nelle mani del concessionario e che non è solo che paghino poco, è che non pagano affatto. Raggiro, evasione, sfruttamento di beni pubblici e rendite sulle spalle dei villeggianti. Non vi piace? Ripassate fra qualche anno. Se siete giovani e v’è venuta l’idea di aprire uno stabilimento balneare in ridente località, ripassate con comodo, fra decenni, oppure allungate una bella mazzetta in contanti al concessionario precedente, rigorosamente in nero, perché magari vi lascia il posto.
Bon, quest’andazzo s’avvia a terminare. Grazie al sano vincolo esterno di una direttiva europea. L’Italia della furberia pauperistica dovrà cedere il passo alle gare. Il tema serio è: sono lasciati al vento gli interessi di quanti hanno onestamente investito sui beni demaniali, con gli stabilimenti? No, ma la risposta effettiva va cercata nei bandi di gara. Chi ha investito trent’anni fa s’è ripagato, chi ha acceso un debito per far fronte alla mareggiata dell’anno scorso no. Chi ha prodotto migliorie e ha servizi igienici nuovi non deve rimetterci, chi ha messo una canna in spiaggia e chiama cesso una roba che è giusto così si chiami no. Chi ha assunto personale – e non pagato in nero, con incassi in nero, avventizi sorretti dal reddito di cittadinanza – va favorito. Roba da capitolato, non da proclami a petto gonfio.
Il governo o meglio il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia si sono fatti forti della direttiva europea e di una sentenza, ai limiti dell’immaginabile, del Consiglio di Stato. Hanno fatto leva e divelto un insensato blocco che in nome dell’interesse di pochi teneva in ostaggio l’interesse di molti. Una sana sabbiatura. Sbagliato distrarsi. Fare attenzione e memorizzare, perché ci mettono nulla a disfare tutto.
di Davide Giacalone
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