Morire a vent’anni, un sabato sera, per quella assurda voglia di sentirsi al di sopra delle regole.
Nessuno dei cinque ragazzi che hanno perso la vita nell’incidente avvenuto nel bresciano, quando la loro auto si è scontrata con un pullman, aveva la patente. Non la aveva chi era alla guida, non la avevano neanche gli altri quattro giovanissimi a bordo, di cui una era anche minorenne.
La macchina gliel’aveva prestata un amico, che li seguiva a poca distanza e che ha poi raccontato di aver sentito un rumore fortissimo, «come una bomba». Uno schianto atroce, cinque vite spezzate per una follia senza senso. Per quella voglia di violare le regole, di sentirsi adulti senza esserlo davvero.
Quello che sconcerta è che nessuno dei cinque in macchina si sia posto il problema di non avere la patente. L’importante era aggiungere un brivido a quella serata. Non ci ha pensato neanche l’amico che ha prestato loro la vettura e che ora naturalmente verrà ascoltato perché è l’unico della comitiva a essere ancora vivo.
Tutti siamo stati adolescenti, tutti abbiamo fatto qualche bravata ma qui c’è dell’altro: c’è sentirsi di poter ignorare le norme del mondo ‘adulto’ e pensare di farlo senza conseguenze. Anche quando di mezzo c’è la propria vita. Come se neanche quella in fondo abbia così tanto valore. Come se l’unica cosa che conti sia quel singolo momento di follia. Ed è questa perdita di contatto con la realtà, oltre alla tragedia, quello che deve preoccupare. E di cui dobbiamo occuparci.
di Annalisa GrandiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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