Non abbiamo mai voluto commentare i rumor dell’inchiesta che ha visto coinvolto l’ormai ex più vicino collaboratore del leader della Lega Matteo Salvini, Luca Morisi. Questo giornale, anzi, ha apertamente stigmatizzato l’uso incivile delle intercettazioni, che ha determinato un’indecorosa esposizione su pubblica piazza di una vicenda giudiziaria che in queste ore sembra avviarsi all’archiviazione.
Potrebbe darsi, dunque, che venga sancita – oltretutto in tempi da record – l’inesistenza di profili di reato a carico dell’inventore della cosiddetta ‘bestia’, la macchina social che ha molto contribuito alle fortune politiche del segretario della Lega.
Tutto il resto, però, non è che vada via per incanto.
Permane e sedimenta nell’immaginario collettivo, nei giudizi che le persone formano guardando, ascoltando e leggendo. Non si tratta di discutere i destini politici di Luca Morisi, che non ci possono interessare su un piano strettamente personale, ma ristabilire un principio di civiltà: procedendo in questo modo, si distruggono vite. La commistione fra veline dei Palazzi di giustizia, uso spericolato e indifferente delle stesse da parte degli organi di informazione (e non solo di quelli ‘scandalistici’) finisce per allontanare qualsiasi idea di ricostruzione per quanto possibile oggettiva dei fatti. Se si dovesse realmente arrivare all’archiviazione, a Morisi sarà anche andata di lusso, con tre settimane di gogna pubblica, ma ci sono persone che hanno sperimentato per anni questo glaciale abbraccio fra teoremi e un certo modo di fare giornalismo. Scrivendolo sull’onda del caso Morisi o del caso Di Donna, si corre il rischio di essere etichettati sbrigativamente come tifosi di questo o di quello, ma lo accettiamo di buon grado perché bisognerà pure provare a mettere un punto fermo. Stabilire un limite invalicabile, che un tempo si sarebbe detto deontologico. Se preferite, di decenza.Prendiamo il caso accennato dell’avvocato Luca Di Donna, già collega di studio dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
È indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite. Fattispecie di reato piuttosto misteriosa di suo, ma questo è un altro discorso. Quello che ci preme sottolineare è che sui quotidiani sono finite le acide battute, dello stesso Di Donna e di alcuni suoi colleghi, sull’attuale leader del Movimento Cinque Stelle. Intercettazioni di puro gossip politico-giudiziario, presentate in uno sconfortante quadro di allusioni e sottintesi. Quando l’unico interesse da perseguire sarebbe quello della condanna dei colpevoli, non certo dello sputtanamento dell’indagato. È un meccanismo mediatico che tritura con indifferenza l’onorabilità e non di rado la vita delle persone e di cui in genere non risponde nessuno. Di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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