AUTORE: Flavio Pasotti
Non siamo ancora al «Pazzesco, c’è la guerra!» soltanto perché molti non sanno cosa sia una guerra. Ma è già tra noi, se leggiamo i fatti e partiamo da un assunto: la Guerra fredda non torna, il nucleare non è utile ai guerrafondai perché congela i conflitti mentre oggi a Est (vicino ed estremo) i conflitti armati servono eccome, a minore intensità e in aree limitate. Una guerra dove si utilizzano in modo estensivo, prima di passare agli eserciti, armi nuove nei mezzi ma ben conosciute nella storia.
Siamo già in guerra perché da anni – e meglio dei cinesi – i russi usano comunicazione, propaganda, intelligence e dollari per influenzare le opinioni pubbliche occidentali e condizionare le elezioni: quelle americane (Trump e il Russiagate) e italiane (ingenue scenette all’hotel Metropole di Mosca, Putin come adorato uomo forte) nonché la politica tedesca tramite le aree Spd dell’ex cancelliere Schroeder. È guerra perché non manca il gas ma con l’aumento artificiale delle nostre bollette e della benzina i russi cercano di far pagare alle opinioni pubbliche il costo dell’alleanza con gli americani. Continua alimentando la tesi che sia giusto che la Russia possa riprendersi l’Ucraina perché è sempre stata russa, come dimostrerebbe la lingua: la stessa tesi che Hitler usò per i Sudeti. La propaganda e i dollari russi hanno così profondamente corrotto il senso comune da indurre a mettere i nostri alleati americani sullo stesso piano dei russi (o peggio), non solo alimentando l’antiamericanismo storico di parte dei cattolici e della sinistra ma scoprendo nuovi ferventi supporter nella destra che tifa per Trump (e Putin) in odio ai democratici e a Biden. Ci sarebbe da dire: «Toglietegli il fiasco!».
La cosa significativa però è che le democrazie occidentali non si sono fatte trovare con le braghe calate. Se i russi hanno utilizzato e bene le tattiche propagandistiche della maskirovka, a Washington hanno fatto di più: hanno apertamente rivelato in anticipo la data del possibile attacco, il transito navale sulla porta di casa nostra, quello aereo più a Nord ma anche il possibile uso di atti che possano ‘autorizzare’ e ‘giustificare’ un intervento militare russo agli occhi dell’opinione pubblica. Queste informazioni hanno funzionato benissimo perché validate dalla Osint, la Open Source Intelligence, la raccolta dati che ognuno di noi può fare trovando tutte le informazioni raccolte dai satelliti commerciali o dai sistemi di navigazione. Questa caduta del velo sta pian piano ribaltando la percezione europea della crisi ucraina e dei rapporti a Est e ha messo in grande difficoltà Mosca perché, togliendole l’arma propagandistica, lascia come opzione soltanto l’uso della forza; e se tutti sanno come si entra in guerra nessuno, nemmeno a Mosca, sa come poi questa vada a finire.
Se nella scommessa Putin ha fatto all in, la risposta a Washington e ora in tutta l’Unione europea è stata “vedo”; se l’obbiettivo era dividere gli occidentali allora la strategia è già morta perché le democrazie – pur con i tempi meno efficienti di una autocrazia e con le concessioni dovute ai propri interessi (e alle proprie paure) – hanno mostrato una forza e una compattezza inaspettate. È sventata la guerra? Non ancora. Ma nessuno, nemmeno noi fino a un mese fa, si sarebbe aspettato di vedere Putin in difficoltà. Ora bisogna offrirgli una via di uscita, ma bisogna anche che lui la accetti e non è detto che il coccolato apparato militare, coperto di quattrini, passi con facilità a uno sganciamento. Se non ci riuscissimo – salvate le libertà di Kiev e pure le nostre – sarà il caso di mettere ordine nel cortile di casa e accompagnare gli amici di Putin in salsa nostrana alla porta della ex cortina di ferro: se fossimo in guerra sarebbe massimamente colpa di costoro.
di Flavio Pasotti
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