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Le guerre

Nel mondo sono in corso 59 guerre, ma la differenza con il conflitto in Ucraina è che la criminale aggressione russa prova a demolire l’ordine internazionale. Tanto è vero che in nessuno degli altri casi si vede sullo sfondo la possibile degenerazione in conflitto mondiale.
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Nel mondo sono in corso 59 guerre, ma la differenza con il conflitto in Ucraina è che la criminale aggressione russa prova a demolire l’ordine internazionale. Tanto è vero che in nessuno degli altri casi si vede sullo sfondo la possibile degenerazione in conflitto mondiale.
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Nel mondo sono in corso 59 guerre, ma la differenza con il conflitto in Ucraina è che la criminale aggressione russa prova a demolire l’ordine internazionale. Tanto è vero che in nessuno degli altri casi si vede sullo sfondo la possibile degenerazione in conflitto mondiale.
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Nel mondo sono in corso 59 guerre, ma la differenza con il conflitto in Ucraina è che la criminale aggressione russa prova a demolire l’ordine internazionale. Tanto è vero che in nessuno degli altri casi si vede sullo sfondo la possibile degenerazione in conflitto mondiale.
Sono in corso, in questo momento, 59 conflitti armati. 59 guerre. L’elenco si trova nel sito dell’Acled (Armed Conflict Location & Event Data Project), meritoriamente rilanciato da “Il Sole 24 Ore”. Allora, perché parliamo solo del conflitto in Ucraina? Intanto perché non è vero che parliamo solo dell’Ucraina e qui abbiamo ragionato di diversi di quei conflitti, con le relative ricadute economiche e geopolitiche, con il lugubre scempio della vita. Ma non dobbiamo essere ipocriti ed è vero che il rilievo non è lo stesso. I massacri sono massacri, le vittime sono vittime, la guerra è sempre un fallimento della diplomazia e del multilateralismo, ovunque devasti. La differenza con l’Ucraina non è neanche solo la vicinanza a casa nostra, che pure è un elemento tutt’altro che secondario. Ovvio che di una guerra all’uscio si senta il rumore assai più che di una guerra lontana. Ammesso che le guerre possano mai essere lontane. La differenza sostanziale è un’altra: la criminale aggressione russa all’Ucraina ha come bersaglio noi, prova a demolire l’ordine internazionale, è aperta a opera e per volontà esclusiva di uno dei Paesi che siedono nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, vale a dire di una delle sedi multilaterali che quell’ordine è preposta a difendere. Tanto è vero che in nessuno degli altri numerosi e dolorosi casi si pone il problema di tenere fuori dal conflitto la nostra Alleanza difensiva, ovvero la Nato. Tanto è vero che in nessuno degli altri casi si vede sullo sfondo la possibile degenerazione in conflitto mondiale. Tutto questo abbiamo provato a evitarlo con una condotta che oggi sentiamo come una colpa, ovvero reagendo solo con blande sanzioni all’invasione della Crimea e al lungo, insistito e sanguinoso attacco alla sovranità ucraina in Donbass. Noi occidentali abbiamo già puntato tutto sulla diplomazia, chiudendo gli occhi sulla violazione del diritto. E abbiamo sbagliato, perché ora sappiamo con certezza fattuale che Putin non si sarebbe fermato, come avevamo sperato. Continuare a sperarlo, dopo quel che vediamo, non sarebbe più neanche colpevole, ma suicida. Avremmo dovuto cominciare l’affrancamento graduale dalle forniture energetiche russe già dal 2014. Non lo abbiamo fatto e ora dobbiamo farlo precipitosamente. E a chi fa osservare l’ovvio, ovvero che la corsa ha un costo alto, rispondiamo che il costo di non farla è enormemente superiore. Pentendoci, appunto, di non averla già fatta. Il solo modo per arrivare a un negoziato che non sia la resa consiste nel piegare Putin, che di quel negoziato è il principale ostacolo. Chiunque voglia il negoziato e non la guerra dovrebbe battersi per sanzioni sempre più dure. Siccome vediamo il contrario, riconosciamo in quelle posizioni l’amore per la resa. Amore che non condividiamo affatto. Prima si riuscirà a piegare Putin e prima si eviteranno conseguenze di vasta e lunga portata nei rapporti con la Russia. Prima Putin sarà battuto e meno il nazionalismo russo sarà fagocitato dal ben più potente nazionalismo cinese. In questo siamo noi i difensori dell’identità russa, mentre Putin colui che la liquida e svende, in cambio di potere personale travestito da allucinazione nazimistica. Siamo stati i primi, lo scorso 23 febbraio, prima ancora che l’invasione avesse inizio, a indicare in Putin un emulo di Hitler nel 1939. Confermiamo quell’analisi. Ed è un gran bene che l’Occidente, che pure aveva precedentemente assunto una posizione simile a quella dell’allora Conferenza di Monaco – osservando con disgusto ma senza coinvolgimento, sperando di preservare una pace che era già persa – abbia rotto con quella condotta. Putin ha già perso. Che i danni siano limitabili dipende molto dalle nostre democrazie, dalle nostre opinioni pubbliche, dalla nostra capacità di non lasciare spiragli. Che è poi la ragione per cui chi fiancheggiò Putin o rinnega (lo ha fatto il presidente tedesco) oppure è fuori dalla possibilità di governare il nostro mondo.   Di Davide Giacalone

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